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Con la sentenza n. 39317, depositata lo scorso 25 settembre, la terza sezione della Corte di Cassazione delinea i tratti della responsabilità penale del direttore dei lavori.
Il caso concreto, nella particolare fattispecie, appare degno di rilievo. Un progettista aveva svolto per dei committenti il ruolo anche di direttore dei lavori. Gli era stata commissionata la realizzazione di un deposito occasionale per il quale aveva presentato denuncia di avvio dei lavori.
Eccepiva però come gli abusi che erano stati realizzati (puniti dall'art. 44 lett. b) d.p.r. 380/2001) fossero stati posti in essere a sua insaputa. Egli, infatti, a suo dire, non era stato messo a conoscenza neppure della data di inizio dei lavori e in ogni caso i manufatti in contestazione riguardavano tutte altri parti dell'edificio rispetto ai lavori per i quali si era interessato.
La Corte di Cassazione delinea i tratti della responsabilità penale del direttore dei lavori. Ricorda, richiamando un proprio indirizzo, come sia ben configurabile la responsabilità del progettista per interventi edilizi realizzati, necessitanti il permesso di costruire, ma realizzati in base ad una denuncia di inizio attività accompagnata dalla relazione a sua firma, puntualizzando come in capo al medesimo sorga un obbligo di vigilanza sulla conforme esecuzione dei lavori.
Ora, nel caso di specie, la Corte, smentendo in punto di fatto l'affermazione per cui al direttore dei lavori non era stata resa nota neppure la data di inizio dei lavori sul cantiere, ha rilevato come l'incaricato della direzione dei lavori assuma anche una funzione di garante nei confronti del Comune dell'osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all'esecuzione dei lavori.
Rileva quindi come fosse attribuibile all'imputato quanto meno un atteggiamento omissivo in relazione all'andamento dell'esecuzione delle opere poiché non si era in alcun modo dissociato da quanto stava avvenendo nemmeno sotto il profilo di una qualsivoglia contestazione alla committenza ovvero all'impresa esecutrice in corso d'opera.
Ciò giustificherebbe quindi la sua condanna, quanto meno, in concorso con i commettenti e l'impresa esecutrice.
Sempre con la pronuncia in oggetto la Corte puntualizza anche sulla mancata concessione del benefico della non menzione.
Il ricorrente infatti aveva lamentato la contradditorierà della motivazione della sentenza poichè era stata concessa la sospensione condizionale della pena, ma non il beneficio della non menzione.
La Corte, anche in questo caso, ritiene di rigettare il ricorso sulla scorta della differenza funzionale tra i due istituti. Come ha precisato la Corte, infatti, la sospensione condizionale ha l'obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento, mentre la non menzione, eliminando la pubblicità quale conseguenza negativa del reato ha lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato.
La diversa funzione dei due istituti permette la non applicazione contemporanea di entrambi con ciò rendendo la motivazione, nel caso di specie e a giudizio della Corte, perfettamente coerente.
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Sono un giovane avvocato presso il foro di Siena.
Mi sono laureata presso l'Università degli Studi di Siena nel 2015 in diritto penale amministrativo e responsabilità degli enti giuridici (d.lgs. 231/2001).
Presso lo stesso Ateneo ho conseguito il diploma presso la scuola di specializzazone per le professioni legali nell'estate del 2017.
La mia passione per i viaggi e per la tutela dei diritti, mi ha portato più volte in Africa al seguito di progetti di cooperazione internazione insiema alla mia famiglia.
Amo leggere, studiare e mi interesso di tutto ciò che può essere chiamato cultura a partire da quella classica fino alle tematiche di maggior attualità.