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La diffamazione mediante omissione: possibile configurazione del reato senza una condotta attiva

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Il reato perseguito e punito dall'art. 183 c.p. prevede una condotta attiva dell'operante che, pubblicamente, o comunicando con più persone, attribuisce un fatto determinato a taluno tale da ledere l'onore. La problematica sottoposta richiede di valutare se nella fattispecie incriminatrice possa rientrare anche una condotta omissiva. Secondo l'ordinamento penale, procurare un fatto che si aveva l'obbligo giuridico di evitare equivale a cagionarlo.

Si pensi quindi a coloro che per legge o per contratto rivestono una posizione di garanzia nell'editoria, nella pubblicazione on-line dei blog, ecc. ove possano consumarsi ipotesi di diffamazione che sfuggono al direttore di testata o al moderatore dei blog. In tali casi è dunque possibile affermare una compartecipazione per omissione del soggetto che era tenuto alla vigilanza? Una tesi rigorosa afferma che il direttore di testata è responsabile dei contenuti editi nel quotidiano in quanto soggetti alla supervisione e al controllo prima della stampa ma altra tesi tende a distinguere la diffamazione palese dalla diffamazione incerta, escludendo quindi che il dovere di controllo del direttore possa spingersi fino alla verificazione delle singole fonti dei giornalisti per ciascun articolo, limitando quindi la responsabilità del direttore a quelle ipotesi manifestamente diffamatorie che risultino tali a prescindere dal controllo della fonte. 

In conclusione la diffamazione per omissione non è ipotesi autonoma di reato poiché non rientra nella fattispecie penale una condotta passiva ma è ipotesi residuale ed in concorso con chi ha tenuto una condotta diffamatoria nell'ambito di pubblicazioni o periodici ove vi è l'obbligo di un controllo editoriale sui contenuti affinché non appaiano manifestamente ingiuriosi o lesivi dell'altrui onore. È opportuno specificare che l'offesa alla reputazione non va rapportata alla considerazione che ciascuno ha di sé o con il semplice amor proprio, ma va rapportata al senso della dignità personale conforme all'opinione di un determinato gruppo sociale, nel particolare contesto storico. Si può desumere, dunque, che il concetto di diffamazione non è statico, nel senso di immutabilità dei suoi contenuti, ma è essenzialmente dinamico e variabile con l'evolversi dei costumi, per cui ciò che in un determinato arco temporale può configurarsi come diffamazione, potrebbe non esserlo più in altro e di-verso momento storico, in base alla coscienza sociale del momento.

Quanto al diritto all'identità personale è un diritto della personalità, tutelato dall'art. 2 della Costituzione, consistente nella pretesa di vedere rispettate le proprie opinioni, la propria personalità di cittadino. Un particolare cenno merita, anche, il diritto all'oblio, frutto di condivisibile elaborazione giurisprudenziale. Il diritto all'oblio può essere rivendicato da chi, specie se si tratta di un soggetto privato, sia stato protagonista di vicende negative assai risalenti nel tempo, la cui nuova ed ulteriore diffusione, salvo che non sia giustificata da fattori contingenti, finisce per lederne ulteriormente ed in modo ingiustificato la reputazione.

Con l'avvento di Internet e la creazione di archivi informatizzati, il problema ha modificato i suoi contorni poiché quelle notizie, risalenti nel tempo, possono essere ripescate in ogni momento. Le informazioni conservate negli archivi patiscono un limite che deriva dal loro mancato aggiornamento. La Cassazione nella sentenza del 5 Aprile 2012, n. 5525 Sez.III ha fissato il principio secondo il quale il diritto all'aggiornamento, da parte del titolare del dato, deve essere garantito, anche in assenza di espressa richiesta, dal titolare dell'archivio, che ha, perciò, l'onere di acquisire ed inserire i nuovi dati, per non incorrere in responsabilità civilmente sanzionabile.

La giurisprudenza ritiene sussistente il delitto anche se il colpevole comunica l'offesa ad una sola persona, purché questa, a sua volta, la comunichi ad altre e ciò si sia verificato; ritiene che vada escluso il reato allorché la persona, alla quale è stata comunicata l'offesa, l'abbia proposta ad altri di propria iniziativa al di fuori di qualsiasi incarico, esplicito od implicito da parte dell'agente. 

Irrilevante è la simultaneità della comunicazione, difatti, non è richiesto che l'addebito diffamatorio sia comunicato a più persone contemporaneamente, ben potendo l'offesa essere comunicata a diversi soggetti ed in altrettanto diversi tempi. In tema di diffamazione a mezzo internet, l'elemento materiale in questione si rinviene nel fatto stesso della pubblicazione e della diffusione del mezzo usato che si rivolge ad un numero indeterminato di persone.

Pertanto, Ai fini dell'integrazione del delitto di diffamazione di cui all'art. 595, si deve presumere la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora il messaggio diffamatorio sia inserito in un sito internet per sua natura destinato a essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti, quale è il caso del giornale telematico, analogamente a quanto si presume nel caso di un tradizionale giornale a stampa, nulla rilevando l'astratta e teorica possibilità che esso non sia acquistato e letto da alcuno. Il diritto alla libera manifestazione del pensiero, dunque, deve essere contemperato con le esigenze della corretta convivenza sociale e col rispetto di interessi pubblici e privati, anch'essi costituzionalmente garantiti, che non possono essere tout court sacrificati alle esigenze del primo, trattandosi di interessi tutti garantiti come fondamentali.

Occorre individuare quali siano le modalità della manifestazione suddetta ai fini dell'osservanza del limite della correttezza dell'informazione, senza che quest'ultima trasmodi nella diffamazione e, quindi, in una condotta lesiva del delitto all'altrui reputazione, idonea a determinare l'insorgenza di una responsabilità. In termini generali, qualora sussista un interesse dei cittadini ad essere informati ed a partecipare al dibattito sociale o politico, possono essere diffuse notizie potenzialmente lesive dell'altrui reputazione, essendo scriminate penalmente ed introduttive di responsabilità civile. Dunque, è necessario effettuare una valutazione comparativa tra la libertà di manifestazione del pensiero ed altri interessi altrettanto garantiti dalla Carta Costituzionale. 

 

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