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Gli "auguri non graditi" nella Giurisprudenza, trattato sulla miseria umana

Gli "auguri non graditi" nella Giurisprudenza, trattato sulla miseria umana

  In origine erano Pasqua, Natale e Capodanno le occasioni per <fare gli auguri>. Poi vennero i compleanni, gli onomastici e tutte le varie feste e ricorrenze che l'uomo è riuscito a inventare sotto la spinta di un consumismo, a volte impercettibile. E nacque la festa della mamma, del papà, dei nonni, degli innamorati e chi più ne ha più ne festeggi. E non mancano altre occasioni: la laurea, il battesimo, una candidatura, la vincita di qualcosa, una promozione, il fidanzamento, l'inizio di una nuova carriera e così via. Sebbene il termine <augurio> voglia dire presagio e non ha in sé una valenza necessariamente positiva, non c'è dubbio che quelli che si scambiano nelle occasioni di cui abbiamo parlato sono solamente <buoni> auspici, previsioni di lieti eventi, speranza di un futuro migliore. Ovviamente questi tipi di auguri (di certo ben accetti dal destinatario) non interessano affatto il diritto, mentre se si trasformano in cattivi presagi o in speranze di cose nefande, ecco che di colpo cambia tutto e la Giustizia viene chiamata a svolgere il suo ruolo, giudicando la valenza di espressioni con le quali al proprio <nemico> si augurano cose non certo piacevoli. Il fenomeno in passato era ancora più diffuso, visto che maghi e fattucchieri vantavano <capacità> non solo di portare fortuna a chi si rivolgeva loro, ma anche di fare del male agli avversari del proprio <cliente>. E' logico pensare che si tratti di pratiche del tutto inefficaci, altrimenti nessuno rischierebbe l'ergastolo per far fuori il proprio nemico: gli basterebbe rivolgersi a un mago, con buona pace (si fa per dire) dei killer di professione! Dall'esame delle sentenze che si sono occupate di qualificare giuridicamente gli <auguri non graditi> emerge uno squallido spaccato della miseria umana, ma anche una variegata gamma di interpretazioni sulla configurabilità o meno del fatto come reato. E laddove si ritiene integrata la fattispecie penale, discordante si presenta il quadro in ordine a quale reato riferire il fatto: si tratta di ingiuria (ora depenalizzata), diffamazione od oltraggio. Oppure di minaccia? O – perché no – di estorsione? O solo di turpiloquio? Vedremo. Intanto occorre sottolineare come la maggior parte degli <auguri> di cui parliamo siano costituiti da auspici ben precisi, che mirano a colpire l'avversario senza lasciargli scampo.

  Qualche volta l' anatema è ad ampio spettro, ma più spesso è mirato ad attaccare un bene preciso dell'avversario. Augurare una vita piena di maledizioni potrà anche apparire meschino, ma rispetto alle invettive che si esamineranno di seguito si risolve sì in un auspicio negativo, ma all'acqua di rose. La suddetta frase è stata esaminata dal tribunale di Chieti - Sezione Distaccata di Ortona - che aveva ritenuto sussistente il delitto di minaccia, ma la corte di appello ha ribaltato il risultato evidenziando come l'evento auspicato non dipendesse dalla volontà dell'agente, mandando così assolto l'imputato perché il fatto non sussiste. A identico risultato perviene la Suprema Corte qualora l'anatema rivolto all'avversario consista nell'augurare che gli nascano figli deformi. E ciò nella considerazione che la frase ha l'evidente contenuto del sia pur lugubre auspicio di un accadimento sul cui sviluppo naturalistico non vi è possibilità di intervento, ribaltando così le opposte opinioni dei giudici di merito (GDP di San Vito al Tagliamento 20.05.09 e tribunale di Pordenone 2.05.10). La motivazione della S.C. sembra in effetti convincente, tuttavia occorre rilevare che la stessa sezione (la quinta), a distanza di un paio d'anni dalla succitata pronuncia, ha fatto una mezza marcia indietro, argomentando che il giudice di merito deve distinguere tra le espressioni di per sé obbiettivamente lesive dell'onore e del decoro, tali cioè da offendere per il loro significato qualunque persona in quanto titolare di questi beni e le espressioni che, non avendo di per sé tale carica ingiuriosa, possono acquistarla in relazione a particolari circostanze, come la personalità delle parti, i rapporti tra loro eventualmente intercorrenti, l'ambiente in cui il fatto si svolge, gli antecedenti del fatto stesso e cosi via.

  E così auspicare l'esito negativo di una gravidanza è tornato all'esame del tribunale di Trapani, che in primo grado aveva escluso la sussistenza del reato. Non meno lugubri dei casi precedenti si appalesano quelli in cui si tenta di <scalfire> mediante anatemi la salute dell'avversario. E quale è la malattia del secolo? senz'altro il tumore; ed ecco che la miseria umana giunge anche ad augurare al proprio avversario che questo male lo colpisca inesorabilmente. Ma anche in questo caso impietoso arriva il giudizio dei Supremi Giudici: nessun reato! V'è da notare tuttavia che la motivazione della sentenza che ha ribaltato quella di appello è un'impietosa <condanna> - sia pure solo morale - dell'assolto: la malattia non è mai una colpa, ma un evento naturale che colpisce tutti e per la quale non c'è motivo di vergogna: l'augurio dell'altrui sofferenza denota miseria umana, ma non riveste rilevanza penale. Ma gli "auguri" valutati dai giudici non finiscono qui. Al lettore auguriamo di potere leggere la seconda parte.

 

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