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Stalking, Cassazione: “Condanna per l’ex amante che minaccia di svelare la relazione clandestina”.

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Con la sentenza n. 3940 dello scorso 2 febbraio, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per stalking inflitta ad un uomo per aver più volte minacciato l'ex amante, intimandole di raccontare a suo marito la loro pregressa e clandestina relazione sentimentale, cosi determinando nella donna un perdurante stato di paura e ansia.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale a carico di un uomo, accusato per il delitto di atti persecutori ex art. 612-bis c.p. ai danni dell'ex amante, per aver più volte minacciato la donna di raccontare al marito di lei l'accaduto, con particolare riguardo alla loro pregressa e clandestina relazione sentimentale.

Per tali fatti, sia il Tribunale che la Corte di Appello di Torino condannavano l'uomo alla pena ritenuta di giustizia. 

I giudici di merito rilevavano come, in conseguenza delle condotte persecutorie messe in atto dall'imputato, era sorto nella persona offesa un perdurante stato di paura e ansia, tale da determinare anche un notevole calo del peso della donna.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'imputato deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, eccependo l'insussistenza degli elementi costitutivi del reato.

A tal fine evidenziava come la Corte aveva formulato il suo giudizio di responsabilità basandosi sulle sole dichiarazioni di un teste e sul contenuto di un documento non acquisito agli atti: in particolare, non era stato acquisito alcun altro elemento che comprovasse che l'imputato avesse tenuto la condotta contestata e che la persona offesa avesse patito il lamentato stato ansioso, peraltro privo di riscontro medico.

La Cassazione non condivide le doglianze formulate.

Gli Ermellini rilevano come i motivi dedotti, che attengono alla valutazione dei dati probatori, non sono consentiti in sede di legittimità, vieppiù a fronte di una sentenza che ha motivatamente valutato l'eventuale sussistenza di uno degli eventi integrativi del delitto di atti persecutori. 

In particolare, la Corte rileva che le censure mosse dal ricorrente non si confrontano con la motivazione delle sentenze dei giudizi di primo e secondo grado, ove sono stati valorizzati tutti i dati probatori a carico dell'imputato e l'affermazione di responsabilità si è fondata anche sulle dichiarazioni della persona offesa e di suo marito, ritenuti pienamente attendibili.

Si è così accertato che la persona offesa, a seguito delle condotte persecutorie, era entrata in una profonda crisi, era "sconvolta, non ce la faceva più, infatti non sapeva più come fare", tanto da entrare in cura da un neuropsichiatra, con diagnosi di anoressia nervosa e disturbo di personalità dipendente; la prostrazione subita le aveva, inoltre, fatto perdere diverso peso.

A conferma del grave stato ansioso, il marito della persona offesa aveva dichiarato di avere assistito personalmente ad alcune condotte moleste nei confronti della moglie ad opera dell'imputato e di averla vista, per tali ragioni, sconvolta.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende. 

 

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