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Offende il collega di controparte nella conclusionale: avvocato condannato per diffamazione

Offende il collega di controparte nella conclusionale: avvocato condannato per diffamazione

Con la pronuncia n. 27041/2021, la III sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato la condanna di diffamazione a carico di un legale che, nella propria comparsa conclusionale, aveva utilizzato espressioni oltraggiose del decoro e dell'onore del difensore della controparte.

Respingendo le difese dell'imputato, che eccepiva come la comparsa conclusionale, per la mancanza del requisito dell'oggettiva diffusività, non potesse integrare il reato contestato, si è invece ribadito che "la comparsa conclusionale, contenente un fraseggio offensivo, afferente ad una controversia civile nella quale imputato e parte offesa sono parti avverse, non ha certamente un destinatario unico, in quanto destinato ad essere conosciuto non solo dal giudice e dalla controparte, ma anche, quantomeno, dagli addetti alla cancelleria".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio con l'esercizio dell'azione penale nei confronti di un avvocato, accusato del reato di cui all'articolo 595 del codice penale, consumato ai danni di un collega, difensore di controparte in una causa civile.

In particolare, si contestava all'imputato di aver offeso l'onore e la reputazione del collega nel corpo di una comparsa conclusionale. 

Per tali fatti, sia il Tribunale che la Corte di Appello di Napoli condannavano l'imputato alla pena di giustizia.

L'imputato ricorreva in Cassazione, denunziando erronea applicazione della legge in relazione all'art. 595 del codice penale, per aver la Corte territoriale ritenuto la diffusività della comparsa conclusionale, in realtà destinata solo al giudice ed alla controparte.

A tal riguardo il ricorrente lamentava come nella sentenza non risultavano adeguatamente motivati il profilo della oggettiva diffusività dello scritto e quello relativo alla consapevole potenziale diffusività dello stesso, ricollegata al ruolo di avvocato ricoperto dall'imputato.

La Cassazione non condivide i rilievi avanzati dal ricorrente.

La Corte evidenzia come la comparsa conclusionale, contenente un fraseggio offensivo, afferente ad una controversia civile nella quale imputato e parte offesa sono parti avverse, non ha certamente un destinatario unico, in quanto destinato ad essere conosciuto non solo dal giudice e dalla controparte, ma anche, quantomeno, dagli addetti alla cancelleria. 

Conseguentemente, con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione evidenzia come correttamente il giudice d'appello – concordando nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione di primo grado – ha rilevato che l'atto dell'imputato, dal contenuto indubbiamente offensivo, fosse, in realtà, diretto a più persone e non solo alla controparte; a sostengo di tanto si è, difatti, evidenziato come l'imputato, di professione di avvocato, avvezzo a frequentare gli uffici giudiziari, non potesse ignorare l'oggettiva diffusività dello scritto e, dunque, fosse ben consapevole delle conseguenze che il deposito dell'atto avrebbe prodotto, quantomeno in termini di conoscibilità da parte dei soggetti tenuti alla ricezione e all'inserimento nel fascicolo del procedimento.

Il ricorso viene, quindi, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore Cassa delle Ammende. 

 

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