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Da "azzeccagarbugli" a "vile leguleio". Quando insultare un avvocato è reato

Da "azzeccagarbugli" a "vile leguleio". Quando insultare un avvocato è reato

  Anche se le statistiche dicono che gli Italiani sono agli ultimi posti in Europa per cultura, non per questo non hanno trovato il modo di ingiuriarsi e diffamarsi traendo spunto dai classici della letteratura. A fare la parte del leone è il più grande scrittore italiano di tutti i tempi, Alessandro Manzoni, che col suo capolavoro – I Promessi Sposi – ha creato personaggi la cui fama ha travalicato i confini della letteratura. Il termine più utilizzato negli insulti "colti" è Azzeccagarbugli. Egli è l'avvocato (si fa per dire) di Lecco, rimasto famoso grazie all'abilità del Manzoni nel descrivere la sua grottesca personalità, tipica del periodo storico in cui è ambientato il romanzo. Viene chiamato così dai popolani per la sua capacità di sottrarre le persone dai guai, non del tutto onestamente, cercando cavilli e millantando conoscenze di potenti. Spesso e volentieri aiuta i Bravi perché, come don Abbondio, preferisce stare dalla parte del più forte.

Egli è l'esatto opposto dell'avvocato descritto dal grande Piero Calmandrei: "Che vuol dire grande avvocato? Vuol dire avvocato utile ai giudici per aiutarli a decidere secondo giustizia, utile al cliente per aiutarlo a far valere le proprie ragioni. Utile è quell'avvocato che parla lo stretto necessario, che scrive chiaro e conciso, che non ingombra l'udienza colla sua invadente personalità, che non annoia i giudici con la sua prolissità e non li mette in sospetto con la sua sottigliezza: proprio il contrario, dunque, di quello che un certo pubblico intende per grande avvocato". Ma torniamo al nostro Azzeccagarbugli: la Cassazione ha sempre ritenuto la natura oltraggiosa del termine, fornendo anche la relativa definizione: "Operatore del diritto di scarsa levatura morale, imbroglione e manigoldo, delinquente, avvezzo alla sopraffazione" (32577/07).Un'altra sentenza ha visto la condanna di una giornalista di <Repubblica>, che aveva definito appunto "Azzeccagarbugli di turno" una giovane avvocata per avere fatto uscire di galera tre suoi clienti perché nel fascicolo mancava un timbro

  Il tribunale l'aveva assolta, ma su istanza dell'Ordine degli avvocati di Monza, il P.M. aveva impugnato la sentenza che – in secondo grado – ribaltò il primo verdetto, sancendo che "<Azzeccagarbugli> è sinonimo di vile leguleio, avvocato da strapazzo e intrigante, condannando pertanto la giornalista. Ma il "dottor Azzeccagarbugli" non è il solo personaggio manzoniano ad essere presente nei repertori: l'Innominato, don Abbondio e don Rodrigo completano il quadro. Sebbene tutti i protagonisti citati abbiano caratteristiche negative, non sempre si arriva all'affermazione di responsabilità degli imputati. Ma evocare il pavido curato che "non era nato con un cuor di leone" per descrivere un magistrato è parso davvero troppo! Così deve aver pensato il tribunale di Milano (sent. 24.11.95) che ha condannato un giornalista del Corriere della Sera per un articolo del 14 agosto 1991. A riprova che dare del "Don Abbondio" è da ritenersi offensivo, vi è l'invettiva del noto polemista televisivo" Vittorio Sgarbi, il quale – nel dicembre 2007 – descrisse il politico Sandro Bondi come un incrocio tra Don Abbondio e Massimo Boldi, scatenando l'ira del politico in una puntata di <Porta a Porta>; non si sa se più per l'accostamento al comico o al personaggio manzoniano. Più complessa la questione concernente l'Innominato, da alcuni identificato con il feudatario Francesco Bernardino Visconti. Egli è una delle figure psicologicamente più complesse e intriganti del romanzo, la cui malvagità più che ripugnanza incute rispetto e paura ed è il potente cui Don Rodrigo si rivolge per attuare il piano di rapire Lucia. L'incontro col cardinale Federigo Borromeo lo porterà alla conversione, consentendo così nel romanzo la liberazione di Lucia e nelle sentenze l'assoluzione dell'imputato. In effetti detto personaggio appare connotato – all'inizio del racconto – da un alone di negatività e cattiveria, ancora maggiore di quella attribuita al guappo don Rodrigo che viene descritto invece come un gradasso (si direbbe oggi: un grosso malavitoso); tuttavia nel corso del romanzo si assiste ad un cambiamento radicale della sua personalità, dopo il rapimento di Lucia, sicché di seguito all'incontro col cardinale Federigo Borromeo egli abbandona la vita scapestrata e si converte. Tale conversione – abilmente descritta dal Manzoni – può costituire elemento tale da fare ritenere l'Innominato personaggio positivo? Di tale parere è stato un P.M. (a proposito di una denuncia per oltraggio) secondo il quale "l'accostamento ad un personaggio dalla statura morale dell'Innominato non può considerarsi oltraggiosa, per cui non vi è alcuna violazione del suo prestigio." Da qui la richiesta di archiviazione. Il codice di procedura penale prevede che la parte offesa possa chiedere di essere avvisata e di potere proporre opposizione nel caso in cui il P.M. abbia intenzione di chiedere l'archiviazione, ma la legge onera l'opponente anche di indicare al GIP – a pena di inammissibilità – l'oggetto della investigazione suppletiva (art. 410 C.P.P.). Ebbene, la parte offesa aveva chiesto, come indagine suppletiva, una perizia sui…<Promessi Sposi>, al fine di valutare se il personaggio in questione fosse da ritenersi "negativo" o meno. Sul diniego del GIP, della questione fu investita la Cassazione, che definì il caso con sentenza 1938/00. Simpatica la motivazione, tutta intrisa di tecnicismo giuridico: "Le indagini suppletive indicate (accertamento tecnico sui personaggi dei Promessi Sposi e investigazioni sul testo del romanzo) non sono pertinenti, non inerendo alla notizia di reato". E don Rodrigo? No, non è da ritenersi offensivo, neanche se rivolto al presidente del consiglio dei ministri! Così ha sentenziato la Cassazione (19509/06) che ha ribaltato del tutto la sentenza del giudice di pace di Milano che aveva condannato un Tizio per aver dato del don Rodrigo (oltre che del "Ceausescu" e del volgare "buffone") a Berlusconi. Motiva la suprema corte che trattasi di diritto di critica, peraltro esercitato proprio all'interno del palazzo di giustizia di Milano "che appare anzi particolarmente idoneo, come sede privilegiata, a suscitare riflessioni sul tema della legalità e del rispetto della legge" (parole testuali).

 

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