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Riferimenti normativi: Artt. 3 L.n.241/1990 e 7-17 L. n.212/2000
Focus: La cartella di pagamento, in quanto atto impositivo prodromico all'esecuzione coattiva tributaria, deve contenere elementi utili per il destinatario al fine di tutelarsi dalle richieste avanzate dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione.
Principi generali: L'obbligo di motivazione della cartella di pagamento è un principio riconosciuto dalla Corte di Cassazione (ordinanze nn.16853/2021;16854/2021) il cui fondamento giuridico risiede nel combinato disposto degli artt. 3 della L. 241/1990 e 7 della L.n.212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente). In pratica, dagli elementi in essa contenuti il contribuente deve poter desumere se l'atto impositivo è legittimo, e ciò al fine di paralizzare, in caso di illegittimità dello stesso, la successiva procedura esecutiva potenzialmente lesiva della sua sfera patrimoniale. Ampiamente dibattuta è stata la questione relativa all'ampliamento dell'obbligo della motivazione degli atti tributari e del relativo contenuto in relazione all'obbligazione degli interessi, richiesti in cartella, dovuti dal debitore fiscale per ritardato pagamento dei tributi. Su ciò la Suprema Corte, a sezioni unite, si è pronunciata con la recente sentenza n.22281/2022, pubblicata il 14/7/2022.
Nel caso di specie, alcuni contribuenti avevano impugnato innanzi alla Commissione tributaria di primo grado una cartella emessa per il pagamento di euro 55.343,22 relativa ad euro 17.258,29 a titolo di imposta di registro e di imposte ipocatastali non pagate, oltre interessi sulle somme accertate, quantificati dall'Amministrazione in euro 35.168,21. Tale carico fiscale era stato iscritto a ruolo sulla base di un precedente avviso di liquidazione mediante il quale l'Ufficio del Registro aveva revocato le agevolazioni fiscali per la piccola proprietà contadina delle quali i contribuenti avevano usufruito, ai sensi della legge 6 agosto 1954 n.604, in relazione ad un atto di compravendita immobiliare rogato dal notaio in data 11 novembre 1980. Il prodromico provvedimento impositivo era stato impugnato dai contribuenti innanzi alle Commissioni provinciali di primo e di secondo grado che si erano pronunciate con sentenza ad essi favorevole. Successivamente la Commissione Tributaria Centrale, con decisione n.5034/2009, aveva accolto il gravame dell'Ufficio e rigettato il ricorso dei contribuenti. Questi ultimi nell'impugnare la cartella di pagamento, conseguente all'avviso di liquidazione divenuto definitivo, contestavano l'incertezza assoluta del credito fatto valere dall'Amministrazione finanziaria dovuta alla carente motivazione della cartella con particolare riferimento alle modalità di calcolo degli interessi applicati dall'Agente della riscossione ed ai relativi tassi, operati in un arco temporale di oltre trent'anni. Nel merito, sia in primo che in secondo grado, le Commissioni tributarie hanno rigettato il ricorso dei contribuenti. In particolare, secondo la Commissione tributaria regionale le somme indicate in cartella corrispondevano a quelle riportate nell'originario avviso di liquidazione, convertite in euro e maggiorate degli interessi dovuti per legge, calcolati al tasso legale, non risultando che l'Ufficio avesse applicato un tasso superiore a quello di legge né che la cartella fosse viziata da anatocismo. Avverso la predetta sentenza i contribuenti hanno proposto ricorso in Cassazione deducendo, tra i vari motivi, la nullità della cartella di pagamento per omessa motivazione della stessa. I ricorrenti, infatti, hanno evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di secondo grado, dalla lettura della cartella, contenente unicamente la cifra globale degli interessi richiesti, non si comprendevano le modalità seguite dall'Ufficio nella quantificazione degli interessi applicati all'imposta dovuta, degli interessi di mora e delle somme aggiuntive, e, inoltre, in violazione del diritto di difesa del contribuente (art. 24 Cost.), mancava un prospetto analitico - sintetico - delle basi di calcolo e delle percentuali applicate per ogni annualità, idoneo a rendere palesi e, quindi, contestabili i medesimi elementi. Gli stessi hanno rilevato che, con specifico riferimento alla materia tributaria, le disposizioni di cui all'art. 7, c.1, della L. 27 luglio 2000 n. 212, sono applicabili, a norma dell'art. 17 della medesima legge, anche agli atti emessi dai soggetti che rivestono la qualifica di concessionari e di organi indiretti dell'amministrazione. Con specifico riferimento alla cartella di pagamento emessa in forza di un debito fiscale riconosciuto in una sentenza passata in giudicato, i ricorrenti hanno sostenuto che il richiamo alla pronuncia giudiziale ed all'atto impositivo su cui la stessa è intervenuta risultava idoneo ad assolvere l'onere motivazionale solo limitatamente alla parte del credito erariale fatto valere ed interessato dall'accertamento divenuto definitivo compiuto dal giudice, ma non anche relativamente alle ulteriori voci di credito non precedentemente richieste. Infatti, relativamente agli interessi medio tempore maturati, è con la cartella di pagamento che, per la prima volta, viene esercitata la pretesa impositiva, con la conseguenza che «il criterio utilizzato per la loro individuazione e quantificazione deve essere ivi esplicitato e posto a conoscenza del contribuente, il quale dev'essere messo in condizione di verificare la correttezza del calcolo degli interessi medesimi, tanto più che alle cartelle di pagamento notificate dopo l'entrata in vigore della L n.212 del 2002 deve allegarsi la sentenza».
I ricorrenti hanno ancora sostenuto che il contribuente non può essere obbligato ad attingere, attraverso difficili indagini, le nozioni giuridiche necessarie per ricostruire il metodo di calcolo seguito dall'Ufficio nei diversi periodi d'imposta considerati, specie laddove il debito fiscale da cui gli interessi traggono origine riguarda un periodo d'imposta risalente nel tempo. Pertanto, l'Amministrazione finanziaria avrebbe un preciso obbligo di motivazione dell'atto rivolto alla richiesta di pagamento di interessi sul debito fiscale, tanto più che tale obbligo, come quello generale relativo agli atti amministrativi, costituisce un principio cardine dell'ordinamento. La Suprema Corte, nel decidere in merito al ricorso in esame, ha ricordato che la Corte Costituzionale, con sentenza del 21 aprile 2000 n.117, ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 25 del D.P.R. n.602/1973 rispetto ad un asserito difetto di previsione legislativa dell'obbligo di motivazione della cartella di pagamento, evidenziando che l'obbligo di motivazione trova un generale referente normativo nell'art. 3 della L. n.241/1990, ponendosi una diversa interpretazione in insanabile contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, poi, chiarito che la cartella ha natura di atto impositivo in senso sostanziale e richiede, quanto all'individuazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche su cui si fonda la ripresa fiscale, una motivazione completa, dovendo l'agente esternare gli elementi essenziali della pretesa che consentano al contribuente di verificarne la legittimità e di impugnarla, anche per contestare il merito della stessa -cfr.Cass., 24 ottobre 2019, n.27271-.Tale motivazione deve dunque assumere i caratteri della congruità, sufficienza ed intelligibilità (Cass.n.10481/2018; Cass.n.9799/2017). Qualora l'atto prodromico determinativo del debito fiscale non abbia reclamato gli interessi e sia l'emittente la cartella ad intimare per la prima volta il pagamento dell'obbligazione di interessi occorre che la pretesa per interessi sia giustificata attraverso l'individuazione dei «presupposti di fatto» e delle «ragioni giuridiche» poste a base della stessa. In questo caso sarà dunque necessario (e sufficiente) che la cartella rechi, anche perrelationem, l'indicazione del debito d'imposta e del quantum di interessi richiesto, nonché́ della decorrenza degli stessi e della base normativa che consenta al contribuente di individuare la natura degli interessi reclamati, la quale può̀ variare non soltanto in funzione della tipologia dell'imposta ma anche delle modalità̀ prescelte dall'Ufficio per azionare la pretesa fiscale e del momento al quale si riferisce la ripresa.Non è necessario che siano indicati i saggi d'interesse in quanto questi sono modificati periodicamente con provvedimenti adottati in ambito ministeriale o dell'Agenzia delle Entrate, e sono soggetti ad obbligo di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ovvero con forme equipollenti, quali la pubblicazione sul sito internet dell'Agenzia delle entrate. Analogamente, deve escludersi che la cartella debba esplicitare le modalità̀ di calcolo che hanno condotto alla quantificazione del debito da interessi del contribuente, ove queste siano determinabili sulla base di mere operazioni matematiche, in base a quanto previsto. Diverso è il caso in cui vi sia un atto prodromico nel quale sono già̀ stati computati gli interessi per il ritardato pagamento, e tale atto sia divenuto definitivo perché́ non impugnato o perché́ in sede giudiziale sia stato definitivamente confermato, quanto alla sua legittimità̀, o comunque sia stato rideterminato in maniera in tutto o in parte difforme rispetto all'originaria richiesta di interessi formulata dall'Ufficio. In tale evenienza la cartella di pagamento può limitarsi a fare riferimento all'atto fiscale o alla sentenza che lo ha reso definitivo, trovando la quantificazione degli interessi, quanto a decorrenza e modalità̀ di calcolo, la sua fonte nell'atto prodromico. La cartella di pagamento dovrà̀ solo attualizzare il debito di interessi già̀ individuato in modo dettagliato e completo nell'atto prodromico. In merito al ricorso proposti dai ricorrenti i giudici di legittimità hanno rilevato che l'avviso di liquidazione propedeutico aveva già̀ determinato l'importo e la tipologia degli interessi nonché́ la relativa decorrenza, sui quali si era formato il giudicato, sicché́ la cartella emessa successivamente, nell'indicare in euro 35.168,21 l'importo degli interessi, si era limitata a convertire in euro gli importi già indicati in lire a titolo di interessi, computando gli interessi al tasso legale. Sulla base di tali considerazioni il ricorso è stato rigettato.
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Il mio nome è Carmela Patrizia Spadaro. Esercito la professione di Avvocato nel Foro di Catania. Sin dal 1990 mi sono occupata di diritto tributario formandomi presso la Scuola Tributaria "Ezio Vanoni" - sez.staccata di Torino.. Sono anche mediatore iscritta all'Albo della Camera di mediazione e conciliazione del Tribunale di Catania dal 2013. Da alcuni anni mi occupo di volontariato per la tutela dei diritti del malato. Nel tempo libero coltivo I miei hobbies di fotografia e pittura ad olio.