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Con la sentenza n. 17220 dello scorso 19 aprile, la IV sezione penale della Cassazione, chiamata ad esaminare la penale responsabilità di alcuni infermieri per non aver monitorato una paziente poi deceduta per uno scompenso cardiaco, ha cassato la sentenza di condanna che non aveva adeguatamente motivato in relazione al nesso causale, erroneamente compiendo il giudizio controfattuale.
Si è, quindi, disposto il rinvio del giudizio in quanto, sebbene fosse stata accertata l'omissione degli imputati nel non aver praticato i necessari interventi salvavita, i giudici di merito non avevano specificato con esattezza la condotta che avrebbe escluso la morte della paziente.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un alcuni infermieri in servizio presso il reparto di medicina interna di un nosocomio, accusati di omicidio colposo per la morte di una paziente avvenuta, a detta dell'accusa, perché non avevano effettuato l'osservazione diretta ed il monitoraggio dei parametri vitali di una paziente e non avevano richiesto l'intervento del personale medico, nonostante la stessa avesse ripetutamente accusato uno stato di grave malessere; a causa delle loro negligenze, non era stata diagnostico lo scompenso cardiaco in atto e non le era stata praticata la necessaria terapia farmacologica.
Per tali fatti, il Tribunale di Cassino condannava gli imputati alla pena di un anno di reclusione ed al risarcimento del danno: il giudicante, facendo riferimento alle valutazioni dei consulenti tecnici del Pubblico Ministero, individuava, quale causa del decesso, un lento scompenso cardiaco; applicando il criterio della controfattualità, concludeva che l'immediato intervento mediante terapia respiratoria e terapia farmacologica avrebbe impedito, con un criterio di probabilità vicino alla certezza, il decesso della vittima.
La Corte di Appello di Roma – rilevato come i reati ascritti si fossero prescritti – dichiarava di non doversi procedere nei confronti degli infermieri ma confermava integralmente le statuizioni civili.
Gli imputati, ricorrendo in Cassazione, deducevano e l'inosservanza e erronea applicazione degli artt. 40 e 589 c.p. nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al nesso causale tra la loro presunta condotta colposa e l'evento morte.
Secondo i ricorrenti, infatti, non erano emersi dall'autopsia elementi certi in ordine alle precise cause che avevano determinato il decesso; la responsabilità penale era stata affermata, in via meramente deduttiva, sulla base della relazione di uno soltanto dei consulenti della pubblica accusa – secondo il quale il decesso era da attribuirsi ad uno ad uno scompenso cardiaco acuto – senza svolgere in alcun modo l'indispensabile giudizio controfattuale.
La Cassazione condivide la doglianza degli infermieri. Nella sentenza impugnata, infatti, non è dedicato alcun passaggio motivazionale al nesso di causalità, mentre la sentenza resa in primo grado è, sul punto, manifestamente illogica e lacunosa.
In punto di diritto gli Ermellini ricordano come, in tema di reato colposo omissivo improprio, l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del nesso causale tra condotta ed evento – cioè il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell'omissione dell'agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo – non consente di pervenire alla condanna.
Con specifico riferimento al caso di specie, nel corso del giudizio di merito, alcuni consulenti del Pubblico Ministero non erano stati in grado di individuare con certezza quale doveva essere il comportamento alternativo diligente degli imputati; altri periti, invece, non erano stati proprio escussi sul punto. Conseguentemente, il giudizio controfattuale non aveva avuto esito, posto che i consulenti non erano stati in grado di dire se un soccorso più tempestivo avrebbe potuto avere efficacia salvifica.
Da tali premesse deriva che la conclusione dei giudici di merito – secondo cui, in base al criterio della controfattualità, l'immediato intervento mediante terapia respiratoria e farmacologica avrebbe impedito, con un criterio di probabilità vicino alla certezza, il decesso della donna – è del tutto avulsa dalle emergenze probatorie.
Sul punto, la Corte ricorda come in tema di istruzione dibattimentale, quando per la ricostruzione della eziologia dell'evento sia necessario svolgere indagini od acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, il giudice non può prescindere dall'apporto della perizia per avvalersi direttamente di proprie, personali, specifiche competenze scientifiche e tecniche, perché l'impiego della scienza privata costituisce una violazione del principio del contraddittorio nell'iter di acquisizione della prova e del diritto delle parti di vedere applicato un metodo scientifico e di interloquire sulla validità dello stesso.
Alla luce di tanto la sentenza impugnata viene annullata con rinvio al giudice civile competente per valore, cui dovrà individuare con esattezza la condotta che avrebbe escluso la morte della paziente e indicare con precisione gli elementi probatori in grado di giustificare tale conclusione.
In particolare, i giudici di merito dovranno verificare la sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta omissiva e negligente degli imputati e l'evento, sulla base non del solo coefficiente di probabilità statistica, ma alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, secondo i noti parametri stabiliti nella sentenza Franzese.
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