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Patti tra coniugi, non hanno effetto quelli che riguardano l’assegnazione della casa coniugale

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Con l'ordinanza n. 24254 depositata il 4 ottobre, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla possibilità per i coniugi di concordare, con patti privati, a chi spetti l'assegnazione della casa coniugale, ha negato qualsiasi efficacia giuridica a siffatte pattuizioni, statuendo che in materia di separazione o divorzio, l'assegnazione della casa familiare, pur avendo riflessi anche economici, è finalizzata all'esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta, onde, finanche nell'ipotesi in cui l'immobile sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell'affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ma economicamente non autosufficienti.

Nel corso della separazione, una coppia di coniugi liberamente pattuiva, in esercizio della propria autonomia contrattuale, che la casa coniugale, di proprietà del marito, fosse concessa alla moglie affinché continuasse ad abitarvi anche dopo la separazione; la loro figlia dapprima dimorava presso il padre, non desiderando essa vivere con la madre, ed in seguito, divenuta maggiorenne, conservava la sua residenza presso la casa familiare.

Adito il Tribunale di Bari affinché fosse dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale respingeva la domanda della moglie volta ad ottenere l'assegnazione della casa familiare di proprietà del marito. 

Contro la decisione di primo grado dichiarativa del non luogo a provvedere in ordine all'assegnazione della casa familiare, la donna proponeva appello dinnanzi alla Corte d'Appello di Bari, la quale respingeva l'impugnazione rilevando come l'art. 6, comma 6, l. n. 898/1970 preveda l'assegnazione della casa al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età: con esplicito riferimento al caso di specie, essendo emerso che la figlia maggiorenne non era stata affidata alla madre né era con lei convivente, i giudici di appello confermavano la decisione di prime cure, non essendo sussistenti i presupposti di fatto legittimanti una assegnazione in favore della moglie della casa coniugale di proprietà del marito.

Ricorrendo in Cassazione, la moglie censurava la decisione della Corte di merito la quale, a suo dire, non aveva tenuto in debita considerazione quanto le parti – in attuazione del potere di autonomia contrattuale loro concesso – avevano pattuito in ordine all'uso dell'abitazione, allorquando il marito rinunciava al medesimo in favore dell'ex moglie: a sostegno del proprio assunto la donna richiamava le sentenze della Suprema Corte che ammettono, in virtù dell'ampio principio di autonomia contrattuale dei coniugi, la rilevanza e l'efficacia giuridica degli accordi patrimoniali dei coniugi intervenuti in sede di separazione o di divorzio, quali patti frutto della loro autonomia negoziale.

In secondo luogo la donna eccepiva come i giudici di merito non avessero esaminato un fatto decisivo, inerente alla circostanza che la loro figlia dapprima dimorava presso il padre, non desiderando essa vivere con la madre, ed in seguito, divenuta maggiorenne, conservava la sua residenza presso la casa familiare.

La Cassazione non condivide le difese formulate dal ricorrente.

I Supremi Giudici ricordano che, ai sensi del comma 6 art. 6 della legge sul divorzio, l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età; in ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole.

Sul punto, l'orientamento giurisprudenziale maggioritario e più recente ammette, in conformità con la ratio dell'istituto, che il diritto all'assegnazione della (ex) casa coniugale spetta al genitore con cui convivono i figli minorenni o maggiorenni non autonomi e ciò indipendentemente dal fatto che sia o meno titolare di un diritto reale o personale di godimento sull'immobile. 

 È da escludere, quindi, che la casa coniugale possa essere disposta anche in assenza di figli conviventi, minorenni o maggiorenni non autonomi, per esempio per equilibrare la posizione economica dei due coniugi separati o in alternativa all'assegno di mantenimento, perché così facendo si determinerebbe, sino alla durata in vita del coniuge assegnatario, una espropriazione della proprietà della casa in capo al suo legittimo titolare.

Se la coppia non ha figli conviventi minorenni o maggiorenni non autosufficienti, la casa di residenza spetta in base alla disciplina della proprietà e del possesso: rimane di proprietà del titolare dell'immobile nel caso di separazione dei beni o se l'immobile in questione non rientrava nella comunione dei beni.

Gli Ermellini rilevano, quindi, la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso che censura una violazione delle norme di autonomia contrattuale dei coniugi, posto è consolidata giurisprudenza nel ritenere che in materia di separazione o divorzio, l'assegnazione della casa familiare, pur avendo riflessi anche economici, particolarmente valorizzati dalla della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 6, comma 6, (come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 11), è finalizzata all'esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta, onde, finanche nell'ipotesi in cui l'immobile sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell'affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ma economicamente non autosufficienti.

Sulla scorte di tanto, la Cassazione rileva come anche il secondo motivo di ricorso sia infondato, non essendo le circostanze di fatto evidenziati dalla ricorrente (ovvero la scelta della loro figlia, divenuta maggiorenne autosufficiente, di conservare la sua residenza presso la casa familiare) delle circostanze decisive ai fini dell'assegnazione dell'abitazione

Né, secondo la Corte, un semplice patto concordato dai coniugi in vista della separazione potrebbe sovvertire le regole generali sulla proprietà, se non sono state rispettate le regole ordinarie previste per il trasferimento dei diritti reali.

Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso.

 

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