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Maternità surrogata, SC: “Se la pratica è lecita nello stato estero, non sussiste il reato di alterazione di stato”

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Con la sentenza n. 31409 dello scorso 10 novembre, la VI sezione penale della Corte di Cassazione ha escluso la penale responsabilità di una coppia di genitori, accusati del reato di alterazione di stato perché, dopo esser ricorsi alla pratica della maternità surrogata in Ucraina, avevano attestato falsamente che la bambina nata era loro figlia naturale.

Si è difatti specificato che "posto che l'ordinamento ucraino ammette il ricorso alla maternità surrogata laddove il 50% del patrimonio genetico del nascituro provenga dalla coppia committente, con conseguente legittimità dell'atto di nascita, non possono configurarsi in capo ai genitori gli estremi del reato di alterazione di stato (art. 567 c.p.), non avendo essi reso dichiarazioni false.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio con l'esercizio dell'azione penale nei confronti di una coppia di genitori, accusati del reato di alterazione di stato per aver attestato falsamente, sia in Ucraina, sia dinnanzi all'Ufficiale di stato civile italiano, che una minore era loro figlia naturale, trattandosi in realtà di una fattispecie di "maternità surrogata" vietata nell'ordinamento interno.

Il P.M. procedeva al sequestro nei locali di pertinenza degli indagati di numerosi oggetti, al fine di accertare la sussistenza del reato di alterazione di stato della minore. 

 Il Tribunale di Cuneo, in funzione di giudice per il riesame delle misure cautelari reali, annullava il decreto di perquisizione e sequestro disposto dalla Procura della Repubblica, sul presupposto che – sebbene fosse indiscusso che i coniugi avevano fatto ricorso alla "maternità surrogata" – l'avvenuta pratica della maternità surrogata fosse un aspetto inconferente rispetto alla configurabilità del reato di cui all'art. 567 c.p., essendo tale pratica lecita nello stato dell'Ucraina, luogo di nascita della minore.

Il Procuratore della Repubblica di Cuneo proponeva ricorso per Cassazione insistendo per la legittimità della misura cautelare adottata sul rilievo della sussistenza, nell'ordinamento italiano, del divieto di trascrizione dell'atto di nascita del minore nato all'estero secondo la pratica della "maternità surrogata", in virtù del divieto penalmente sanzionato del ricorso a tale pratica nel nostro ordinamento.

La Cassazione non condivide la posizione del Procuratore Generale.

La Corte ricorda che ai fini della configurabilità del delitto di cui all'articolo 567 c.p., è necessaria un'attività materiale di alterazione di stato che costituisca un quid pluris rispetto alla mera falsa dichiarazione e si caratterizzi per l'idoneità a creare una falsa attestazione, con attribuzione al figlio di una diversa discendenza, in conseguenza dell'indicazione di un genitore diverso da quello naturale.

 In particolare, l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 567 c.p. va esclusa nel caso di dichiarazioni di nascita effettuate, ai sensi dell'art. 15 del D.P.R. n. 396 del 2000, in ordine a cittadini italiani nati all'estero e rese all'autorità consolare sulla base di un certificato redatto dalle autorità straniere ove la genitorialità è indicata in conformità alle norme stabilite dalla lex loci.

Sul punto, la legge ucraina ammette il ricorso alla surrogazione di maternità a condizione che il 50% del patrimonio genetico del nascituro provenga dalla coppia committente, per cui il certificato di nascita di un bambino nato in Ucraina facendo ricorso a detta pratica è perfettamente legittimo secondo la legge di tale Paese quando la metà del patrimonio genetico provenga da uno dei genitori committenti.

Con specifico riferimento al caso di specie, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per ritenere integrata, sotto il profilo materiale, la condotta sanzionata dall'art. 567 c.p., posto che le attestazioni relative alla minore, rese sulla base di una certificazione stilata in Ucraina, non integravano certificazioni o attestazioni "false", risultando viceversa legittime secondo la lex loci, che ammette la maternità surrogata eterologa nel caso in cui il patrimonio biologico del minore appartenga per il 50% ai genitori committenti.

In virtù di tanto, la Cassazione rigetta il ricorso.

 

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