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Infedeltà coniugale, Cassazione: “Non scatta automaticamente l’addebito”

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Con l'ordinanza n. 11130 dello scorso 6 aprile, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha escluso l'addebito di una separazione a una moglie adultera, respingendo le difese del marito secondo cui l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà fosse circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione alla consorte.

La Cassazione ha precisato che grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, a provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà.

Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Tribunale di Catania che, pronunciandosi sulla separazione personale dei coniugi, accoglieva la domanda di addebito a carico della moglie, essendo emerso – nel corso dell'istruttoria – che la donna, in costanza della convivenza familiare, aveva instaurato una relazione extraconiugale. 

 Accogliendo l'appello proposto dalla donna, la Corte d'appello revocava la pronuncia di addebito della separazione pronunciata dal giudice di primo grado, sul rilievo che, anche a volere ritenere accertata l'infedeltà coniugale della moglie, tale comportamento era comunque intervenuto quando era già in atto una profonda frattura del sodalizio coniugale.

A sostegno della propria decisione, la Corte di Appello valorizzava il referto di una psicologa nonché le continue richieste della donna volte a ricevere supporto presso un Centro di antiviolenza sulle donne, proprio per risolvere le situazioni di conflitto con il marito, che era pienamente cosciente dello stato psicologico della consorte.

Il marito, ricorrendo in Cassazione, denunciava violazione e falsa applicazione degli articoli 143 e 151 c.c. in punto di addebitabilità della separazione, dolendosi per non aver la Corte di merito considerato come l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà fosse circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, presumendosi l'efficacia causale nella determinazione dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza.

Il ricorrente censurava, inoltre, come la Corte di Appello avesse fornito una personale e fantasiosa lettura dei fatti del tutto disancorata da ogni elemento probatorio, valutando erroneamente il referto medico della psicologa come prova della pregressa crisi matrimoniale: secondo la difesa dell'uomo, difatti, tale documento era solo la prova di uno stato di insoddisfazione unilaterale da parte della moglie, non ancora sfociato in una crisi matrimoniale.

La Cassazione non condivide le tesi difensive del ricorrente.

 In punto di diritto, la Corte ricorda che grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la Corte distrettuale abbia fatto un corretto uso di tali principi, ritenendo – all'esito della valutazione degli elementi probatori emergenti in causa – che fosse stata provata l'esistenza di una crisi matrimoniale in atto precedente al presunto comportamento di infedeltà coniugale.

La Corte ricorda che tale valutazione in fatto non può essere sindacata in sede di legittimità, vieppiù perché il ricorrente, con l'apparente deduzione di violazioni di legge, ha voluto sollecitare inammissibilmente una diversa valutazione degli elementi probatori rispetto a quella operata dalla Corte d'Appello.

In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

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