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Violenza sessuale: le Sezioni Unite spiegano come si riconosce l’abuso di autorità di natura privata

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Con la sentenza n. 27326 dello scorso 1° ottobre, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – nello stabilire che l'abuso di autorità cui si riferisce l'art. 609-bis c.p., comma 1, presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali – hanno nondimeno precisato che non è possibile desumere in via meramente presuntiva la sussistenza del reato sulla base della posizione autoritativa del soggetto agente.

Si è difatti statuito che per la configurabilità del reato in esame occorre dimostrare non soltanto l'esistenza di un rapporto di autorità tra autore del reato e vittima diverso dalla mera costrizione fisica e dalle richiamate ipotesi di minaccia ed induzione, ma anche che di tale posizione di supremazia l'agente abbia abusato al fine di costringere la persona offesa a compiere o subire un atto sessuale al quale non avrebbe in altro contesto consentito.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato di violenza sessuale perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in qualità di insegnante di inglese che impartiva lezioni private e, quindi, con abuso di autorità, aveva costretto due alunne, minori degli anni quattordici, a subire ed a compiere su di lui atti sessuali.

Il Tribunale di Enna, ritenendo che la figura dell'insegnante privato fosse esclusa dall'ambito di applicazione delle disposizioni normative contestate, qualificava il fatto in termini di lieve entità.

La Corte di appello di Caltanissetta riqualificava i fatti nei termini indicati dall'originaria imputazione, rideterminando in aumento il trattamento sanzionatorio.

Ricorrendo in Cassazione l'imputato deduceva la violazione degli artt. 609-bis e 609-quater c.p., evidenziando come l'abuso di autorità di cui all'art. 609-bis c.p., comma 1, avrebbe presupposto nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in mancanza della quale avrebbe dovuto trovare applicazione la diversa ipotesi dell'art. 609-quater. 

 La Cassazione, Terza Sezione penale, rilevata la sussistenza di un contrasto interpretativo in merito all'ambito applicativo dell'art. 609-bis c.p., comma 1, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, chiedendo di pronunciarsi se, in tema di violenza sessuale, l'abuso di autorità di cui all'art. 609-bis c.p., comma 1, presupponga nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico (in mancanza della quale deve trovare applicazione la diversa ipotesi dell'art. 609-quater) o, invece, possa riferirsi anche a poteri di supremazia di natura privata.

Le Sezioni Unite, aderendo all'orientamento estensivo, hanno escluso la natura formale e pubblicistica dell'autorità di cui l'agente abusa nel commettere il reato di cui all'art. 609-bis c.p..

Difatti, coerentemente con la nuova collocazione del delitto di violenza sessuale tra quelli contro la libertà personale, solo la tesi estensiva realizza a pieno la massima tutela della libertà sessuale della persona, così comprendendo situazioni che – altrimenti - ne resterebbero escluse, quali quelle derivanti da rapporti di natura privatistica o di mero fatto (come, ad esempio, rapporti di lavoro dipendente, anche irregolare, ovvero di situazioni di supremazia riscontrabili in ambito sportivo, religioso, professionale ed all'interno di determinate comunità, associazioni o gruppi di individui).

Ne deriva che l'autorità "privata" non è solo quella che deriva dalla legge, bensì anche un'autorità di fatto, comunque determinatasi: se ciò che rileva è la coartazione della volontà della vittima, posta in essere da una posizione di preminenza, la specifica qualità del soggetto agente resta in secondo piano rispetto alla strumentalizzazione di tale posizione, quale ne sia l'origine.

 Per evitare che tale interpretazione estenda oltremodo l'ambito applicativo della norma, o che si desuma in via meramente presuntiva la sussistenza del reato sulla base della posizione autoritativa del soggetto agente, le Sezioni Unite specificano che la sussistenza oggettiva del rapporto autoritario deve essere inequivocabilmente dimostrata mediante un'analisi concreta della dinamica dei fatti idonea a porre in luce un rapporto di soggezione effettivamente intercorrente tra l'agente e la vittima del reato; occorre, inoltre, dimostrare l'arbitraria utilizzazione del potere, dando anche conto della correlazione esistente tra l'abuso di autorità e le conseguenze sulla capacità di autodeterminazione della persona offesa, poiché una condotta che dovesse diversamente estrinsecarsi dovrebbe inevitabilmente essere inquadrata nelle ipotesi di minaccia o induzione.

In altre parole, per la configurabilità del reato in esame occorre dimostrare non soltanto l'esistenza di un rapporto di autorità tra autore del reato e vittima diverso dalla mera costrizione fisica e dalle richiamate ipotesi di minaccia ed induzione, ma anche che di tale posizione di supremazia l'agente abbia abusato al fine di costringere la persona offesa a compiere o subire un atto sessuale al quale non avrebbe in altro contesto consentito, dovendosi dunque escludere la possibilità di desumere la costruzione in via meramente presuntiva sulla base della posizione autoritativa del soggetto agente.

Da ultimo la sentenza in commento rileva che la valenza coercitiva dell'abuso di autorità è presente tanto nel caso in cui la posizione di preminenza dell'agente sia venuta meno, permanendo tuttavia una condizione di soggezione psicologica derivante dall'autorità da questi già esercitata, quanto in quello di relazione di dipendenza indiretta tra autore e vittima del reato, quando il primo, abusando della sua autorità, concorre con un terzo che compie l'atto sessuale non voluto dalla persona offesa.

 

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