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Con l'ordinanza n. 18820 depositata lo scorso 10 giugno, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di una sentenza di appello con la quale, in relazione al una causa concernente l'obbligo di mantenimento per una moglie disoccupata residente in Calabria, si era giustificata la sua concreta impossibilità di svolgere attività lavorativa retribuita alla luce del dato notorio della difficoltà di trovare lavoro in Calabria.
Si è difatti precisato che "in tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Crotone pronunciava la separazione personale dei coniugi, respingendo le reciproche domande di addebito.
La moglie proponeva appello; resisteva il marito, proponendo appello incidentale sull'addebito.
La Corte territoriale accoglieva l'appello principale, ponendo a carico del marito la somma mensile di Euro 150,00 a titolo di mantenimento della moglie; i giudici di secondo grado, nel rigettare il ricorso incidentale, osservavano che non era emersa la possibilità di un'effettiva capacità lavorativa della donna, oramai quarantottenne, la quale non aveva mai lavorato ed era priva di titoli di studi.
Ricorrendo in Cassazione, il marito eccepiva violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e dell'art. 115 c.p.c., per aver la Corte d'appello ritenuto che la moglie non avesse una concreta attitudine lavorativa, tenuto conto anche del dato notorio della difficoltà di trovare lavoro in Calabria, in quanto non emergevano fatti di comune esperienza sulla questione lavorativa.
La Cassazione non condivide le tesi difensive del ricorrente.
Gli Ermellini ricordano che, in tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche.
In particolare, occorre verificare la effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, senza limitare l'accertamento al solo mancato svolgimento di un attività lavorativa e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche.
Sul punto, grava sul richiedente l'assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua capacità di lavorare, l'onere della dimostrazione di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato per reperire un'occupazione retribuita confacente alle proprie attitudini professionali, poiché il riconoscimento dell'assegno a causa della mancanza di adeguati redditi propri, previsto dall'art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell'ordinaria diligenza, l'istante sia in grado di procurarsi da solo.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini rilevano come la sentenza impugnata abbia negato con un giudizio di merito, incensurabile in sede di legittimità, che la donna avesse una concreta possibilità di reperire occasioni di lavoro basandosi su una pluralità di fattori, quali l'età, l'inesperienza lavorativa, l'attuale e notoria situazione del mercato del lavoro in Calabria, caratterizzata da elevata percentuale di disoccupati e dalla larga diffusione del precariato negli impieghi.
Sulla scorta di tanto, gli Ermellini rilevano come correttamente la Corte d'appello abbia ritenuto che la donna avesse assolto l'onere della prova su di lei incombente circa la sussistenza di una situazione di concreta impossibilità di svolgere attività lavorativa retribuita, alla luce dei vari elementi probatori acquisiti.
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il marito al pagamento delle spese del giudizio e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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Nel 2010 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari; nel 2012 ho conseguito sia il Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Ateneo Barese che il Diploma di Master di II livello in "European Security and geopolitics, judiciary" presso la Lubelska Szkola Wyzsza W Rykach in Polonia.
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