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Immobile abusivo, SC: “Sanatoria inammissibile se l’istanza di condono è presentata in ritardo”

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Con la pronuncia n. 31783 dello scorso 29 agosto, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha rigettato la domanda con cui i proprietari di un fabbricato abusivo chiedevano la revoca dell'ordine di demolizione per aver presentato l'istanza di condono in ritardo.

Si è difatti precisato che "ai fini della estinzione del reato costituito da illecito edilizio, le tre condizioni previste dall'art. 32, comma 36, del D.L. 269/2003 ( ovvero la presentazione nei termini della domanda di "condono", il versamento dell'intero importo della somma dovuta a titolo di oblazione e il decorso di trentasei mesi dalla data di effettuazione del suddetto versamento) debbono ricorrere tutti congiuntamente".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dalla presentazione di una istanza con cui i proprietari di un immobile realizzato abusivamente chiedevano la revoca dell'ordine di demolizione.

Il fabbricato era stato edificato abusivamente nell'anno 1995, e comprendeva, oltre alla consistenza accertata, anche un vano garage posto sul lato ovest, realizzato con pannelli di copertura e coibentazione tra l'immobile ed il muro di confine, nonché una tettoia metallica coperta con onduline, in relazione alla quale era presentata autonoma richiesta di sanatoria. 

A seguito di accertamento da parte delle autorità competenti con consequenziale emanazione di un ordine di demolizione per gli abusi realizzati,i proprietari comunicavano al Comune di aver rimosso i pannelli con i quali era stato realizzato il garage e la tettoia metallica coperta con onduline; in conseguenza di tale evenienza, veniva archiviata la pratica di sanatoria relativa a questa struttura ma non si revocava l'ordine di demolizione.

Il Tribunale di Trapani, in funzione di giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza con la quale i proprietari avevano chiesto la revoca dell'ordine di demolizione, sul presupposto che la sanatoria rilasciata era illegittima, in quanto presentata successivamente al termine del 10 dicembre 2004, termine fissato dalla legge espressamente "a pena di decadenza".

Ricorrendo in Cassazione, gli istanti chiedevano la revoca dell'ordinanza di demolizione deducendo violazione di legge in relazione all'art. 32 del D.L. 269/2003 e all'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, dolendosi per la mancata applicazione della disciplina del condono di cui al citato D.L. 269/2003.

A tal riguardo evidenziavano come l'istanza, presentata in data 13 dicembre 2004 per ottenere il condono di cui all'art. 32 del D.L. 269/2003, si riferisse ad una situazione in cui erano rilevabili tutti i presupposti richiesti da questa disposizione, in quanto le opere abusive erano state ultimate entro il 31 marzo 2003, la cubatura delle stesse era complessivamente pari a 677,72 metri cubi, gli oneri economici erano stati assolti, la domanda era stata presentata entro i termini previsti.

La Cassazione non condivide la censura formulata. 

In punto di diritto gli Ermellini ricordano che a norma dell' all'art. 32, comma 36, del D.L. 269 la domanda relativa alla definizione dell'illecito edilizio, con l'attestazione del pagamento dell'oblazione e dell'anticipazione degli oneri concessori, doveva essere presentata al comune competente, a pena di decadenza, tra l'11 novembre 2004 e il 10 dicembre 2004.

Si è infatti osservato che, ai fini della estinzione del reato costituito da illecito edilizio, le tre condizioni previste dall'art. 32, comma 36, del D.L. 269/2003 ( ovvero la presentazione nei termini della domanda di "condono", il versamento dell'intero importo della somma dovuta a titolo di oblazione e il decorso di trentasei mesi dalla data di effettuazione del suddetto versamento) debbono ricorrere tutti congiuntamente.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione evidenzia come correttamente sia stata ravvisata la tardività dell'istanza di condono, presentata in data 13 dicembre 2004, ovvero oltre il termine del 10 dicembre 2004, termine fissato dalla legge espressamente "a pena di decadenza" e ritenuto tale anche dall' elaborazione della giurisprudenza.

In conclusione la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. 

 

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