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Edilizia: la domanda di condono successiva alla scadenza del termine per la demolizione del manufatto abusivo non ha alcun effetto.

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 "L'accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione a demolire è normativamente configurato come un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l'effetto di acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale, già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l'ingiunzione".

Consiglio di Stato, sentenza del 26 maggio 2023, n. 5174.

Con sentenza depositata il 26 maggio scorso (n. 5174/2023), la sesta Sezione del Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso proposto contro un'ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale di un immobile abusivo, emessa in pendenza della domanda di condono.

Secondo i giudici di palazzo Spada, la domanda di condono, se proposta oltre la scadenza del termine assegnato con l'ingiunzione di demolizione, non incide sulla legittimità del provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale, dal momento che l'effetto ablatorio cui fanno riferimento i commi 3 e 4 dell'art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) si verifica ope legis in forza dell'inutile scadenza del termine fissato per ottemperare all'ingiunzione: dunque, una volta scaduto il termine di novanta giorni per procedere alla demolizione del fabbricato abusivo, il bene diviene automaticamente del comune e, per contro, il privato perde la proprietà bene e non è più legittimato a compiere nessun atto di disposizione su di esso, dal che l'irrilevanza di una richiesta di condono successiva all'ordine di demolizione. 

La sentenza, pur dando continuità adun'opzione interpretativa oramai consolidata, si discosta, almeno apparentemente, da quanto recentemente affermato, sempre dal Consiglio di Stato, circa la necessità di seguire, nel procedimento disegnato dall'art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, una serie di passaggi procedurali a garanzia del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti.

Infatti, da quanto evincibile dal testo del provvedimento, sembra che, nel caso di specie, l'amministrazione comunale abbia adottato un provvedimento unico sia per l'accertamento dell'inottemperanza alla demolizione che per l'acquisizione del fabbricato, il che si porrebbe in contrasto con quanto affermato dai giudici di Palazzo Spada nella sentenza n. 714/2023.

Qui, infatti, la seconda sezione del Consiglio di Stato ha affermato che i procedimenti repressivi in materia edilizia, culminanti con l'atto di acquisizione della proprietà privata al patrimonio comunale, devono seguire una corretta scansione procedimentale, la quale è costituita:

- dal provvedimento di demolizione, con cui viene assegnato il termine di novanta giorni per adempiere spontaneamente alla stessa ed evitare le ulteriori conseguenze pregiudizievoli;

- dall'accertamento della inottemperanza alla demolizione tramite un verbale;

- dall'atto di acquisizione al patrimonio comunale che costituisce il titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione dell'acquisto della proprietà in capo al Comune.

Nel provvedimento citato si legge che tali fasi procedimentali non sono surrogabili dal fatto noto che l'abuso non è stato demolito e nemmeno dalle indicazioni testimoniali, ma devono essere scandite con provvedimenti chiari e capaci di individuare "colpevolezza degli autori dell'illecito", "acquisizione di prove certe della notifica dei provvedimenti" e "linearità, anche in senso di celerità, del procedimento".

Dunque, il mancato adempimento deve essere "accertato", mediante apposito verbale il quale costituisce un mero atto istruttorio endo-procedimentale che precede il "provvedimento" costituente titolo "per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente".

Spetterà alla Cassazione, cui ora molto probabilmente si rivolgerà il ricorrente, stabilire la correttezza della decisione. 

 

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