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Conversione della pena detentiva in pena pecuniaria

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Con una recente decisione, la n. 49176, depositata lo scorso 4 dicembre, la Corte di Cassazione delinea i passaggi argomentativi che deve compiere il giudice di merito in ordine alla decisione sulla richiesta di conversione di una pena detentiva in pena pecuniaria.

Nel ricorso, i difensori di un imputato condannato per il reato detenzione a fini di spaccio avevano eccepito, tra le altre questioni, il fatto che i giudici di merito non avessero erroneamente convertito la pena detentiva comminata in sanzione pecuniaria ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 53 e ss.

La corte di cassazione ha ritenuto infondata la doglianza della difesa poiché i giudici di merito, a suo avviso, avevano preso in considerazione l'istanza di conversione, ritenendo di rigettarla poiché non avevano ritenuto la condotta di tale minimo disvalore, tale da comportare una ulteriore attenuazione del regime sanzionatorio.

Per giungere a questa decisione, i giudici della Corte hanno ripercorso la natura dell'istituto premiale della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, riassunta nei passaggi che qui di seguito si riportano. 

La Corte di Cassazione ha ricordato infatti come ai fini della sostituzione della pena detentiva con pena pecuniaria, il giudice debba fare ricorso ai criteri di cui all'art. 133 c.p.

Ciò non implica che egli debba prendere in esame tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, ben potendo motivare solo sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quale, nella fattispecie, l'inefficacia deterrente della sanzione pecuniaria che a quella detentiva va a sostituirsi, per sua inadeguatezza alla gravità del fatto e alla personalità dell'imputato, non potendo essa esercitare la stessa efficacia afflittiva nè rieducativa che promana, nella fattispecie concreta, da una pena detentiva.

In proposito, sempre la Corte ha ricordato, infatti, come le misure sostitutive tendano al reinserimento sociale del condannato

Per valutare se sia prevedibile che non vi sarà una ricaduta nel reato possono essere utilizzati i criteri di cui all'art. 133 c.p., ma non rappresenta una preclusione rispetto a tale giudizio la mancata concessione delle circostanze attenuanti. 

In conclusione, la valutazione discrezionale rimessa al giudice di merito ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 58, comma 1, deve essere sorretta da congrua ed adeguata motivazione, che dovrà tenere in particolare considerazione, tra gli altri criteri, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato, nell'ottica di valutare se sia prevedibile che non vi sia in futuro una ricaduta nel reato.  

 

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