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Con la sentenza in commento, la n. 534/2019 depositata l'8 gennaio 2019, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della disciplina della continuazione e della sua applicazione pratica nel caso in cui per uno dei reati sia stata inflitta in sostituzione alla pena principale quella del lavoro di pubblica utilità ex art. 73 co. 5 bis D.P.R. 390/90.
Il giudice dell'esecuzione, a fronte di più condanne per reati di cui al testo unico in materia di stupefacenti, aveva individuato il reato punito con la pena più grave - prima della sua sostituzione in lavoro di pubblica utilità - e operato l'aumento per la continuazione.
Non aveva considerato però che la pena detentiva inflitta per il reato più grave era stata sostituita con la sanzione meno afflittiva di cui all'art. 73 co. 5 bis D.P.R. 390/90, ovvero, il lavoro di pubblica utilità.
Ne conseguiva che, a parere del ricorrente, stante la decisione del giudice di cognizione che aveva operato la sostituzione della pena principale con quella del lavoro di pubblica utilità, aveva errato il giudice dell'esecuzione a infliggere una pena complessiva per la continuazione di natura detentiva.
Il ricorso viene ritenuto fondato.
Il tema che la corte si trova ad affrontare è quello della legittimità di una revoca implicita della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.
L'opzione per questa tipologia di sanzione, oltre a poter avvenire solo nel corso del giudizio di primo grado (non potendo esserne chiesta l'applicazione in grado di appello) impone al giudice di cognizione di compiere una valutazione che escluda la applicabilità al caso in concreto della sospensione condizionale della pena e che accerti l'opportunità, ai fini della rieducazione, del percorso individuato dallo stesso richiedente, secondo i parametri dell'art. 132 e 133 c.p. oltre che di quelli dettati dell'art. 73 co. 5 bis t.u. in materia di stupefacenti.
Nell'esercizio della sua valutazione discrezionale, infatti, il giudice dovrà valutare ogni elemento utile al fine di verificare la capacità del richiedente al lavoro in relazione anche ai possibili impieghi, tra i quali operare un'eventuale scelta.
Nel caso che veniva sottoposto alla Corte, però, il giudice - il cui provvedimento era soggetto a gravame - non aveva operato alcuna valutazione in ordine ai presupposti per l'applicazione o la revoca della ammissione alla sanzione sostitutiva.
Di talché la revoca era da considerarsi implicita e, come tale, non ammissibile.
Il giudice dell'esecuzione, infatti, può revocare la pena sostitutiva ma solo in maniera esplicita, con adeguata motivazione espressa e nelle ipotesi previste dalla legge (ad es. violazione degli obblighi specifici cui il condannato è stato sottoposto o nel caso di superamento del limite di due volte di sostituzione della pena).
Peraltro, osservano i giudici di legittimità, un intervento del giudice dell'esecuzione che ripristini la pena detentiva significherebbe derogare al principio per cui la sanzione inflitta dal giudice dell'esecuzione, se modificativa di quella irrogata dal giudice di cognizione, non può essere in ogni caso più afflittiva.
Ciò, anche alla luce della disposizione del co. 5 bis dell'art. 73 t.u. stupefacenti che è norma speciale e regola un istituto di carattere eccezionale.
La sanzione del lavoro di pubblica utilità, infatti, presuppone uno stretto legame tra la sanzione sostitutiva e la sanzione penale e/o pecuniaria – principale - che andrà a sostituire, posto che, tra i requisiti per la sua applicabilità, v'è anche la valutazione del giudice di cognizione circa l'impossibilità di concedere la sospensione condizionale.
Sicché il giudice dell'esecuzione, in un caso simile ha due alternative:
1) revocare espressamente la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità o
2) estenderne la durata, per effetto della disciplina della continuazione.
Non può invece mai operare una revoca implicita, poiché tale suo potere si porrebbe in contraddizione con la decisione - espressa e motivata - del giudice di cognizione che aveva operato, nel suo potere discrezionale, l'ammissione del condannato a tale pena sostitutiva.
Per questi motivi, l'ordinanza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello per il riesame della questione.
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Sono un giovane avvocato presso il foro di Siena.
Mi sono laureata presso l'Università degli Studi di Siena nel 2015 in diritto penale amministrativo e responsabilità degli enti giuridici (d.lgs. 231/2001).
Presso lo stesso Ateneo ho conseguito il diploma presso la scuola di specializzazone per le professioni legali nell'estate del 2017.
La mia passione per i viaggi e per la tutela dei diritti, mi ha portato più volte in Africa al seguito di progetti di cooperazione internazione insiema alla mia famiglia.
Amo leggere, studiare e mi interesso di tutto ciò che può essere chiamato cultura a partire da quella classica fino alle tematiche di maggior attualità.