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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 54182, depositata il 4 dicembre 2018, torna sul tema della compatibilità tra recidiva e continuazione.
Nel caso sottoposto all'esame del Supremo consesso l'imputato veniva condannato per aver utilizzato nella dichiarazione dei redditi del 2007 una fattura per operazioni inesistenti. Proponeva ricorso per cassazione ritenendo che la Corte di appello avesse mancato di dichiarare la prescrizione del reato attribuitogli poiché aveva erroneamente ritenuto applicabile la recidiva reiterata sebbene nel caso di specie i reati oggetto delle due sentenze di condanna che la giustificavano erano stati unificati sotto il vincolo della continuazione.
La questione sottoposta alla corte riguarda dunque la compatibilità fra le figure della recidiva e della continuazione.
In particolare la questione è se sia applicabile la disciplina della recidiva reiterata anche nel caso in cui i reati precedentemente giudicati - anche se con distinte sentenze e unificati poi solo in sede di esecuzione - siano stati considerati, con sentenza definitiva, avvinti dal vincolo della continuazione.
In altre parole, la domanda che viene rivolta ai giudici è se ai fini della affermazione della recidiva reiterata può valere la condanna per un delitto in relazione al quale la pena sia stata determinata quale aumento della pena già irrogata con una precedente sentenza di condanna per un altro delitto, ai sensi dell'art. 81 cpv, poiché la sua esecuzione è stata ritenuta caratterizzata dalla medesimezza del disegno criminoso in esecuzione del quale è stato realizzato anche il precedente delitto.
Le soluzioni al quesito sono fondamentalmente due e hanno trovato spazio entrambe anche nella giurisprudenza di legittimità.
L'orientamento più risalente, ma anche prevalente, ha sempre ritenuto che la recidiva e la continuazione fossero compatibili.
Secondo questo orientamento la recidiva è applicabile anche nell'ipotesi in cui due o più reati sono avvinti dal nesso di continuazione poiché compiuti in esecuzione del medesimo disegno criminoso.
A questo orientamento se ne è opposto un altro che ha ritenuto, invece, incompatibile la recidiva con la continuazione: "non può tenersi conto della recidiva una volta ritenuta la continuazione tra il reato per cui sia pronunziata sentenza passata in giudicato, valutato come più grave e, pertanto, considerato reato base, e quello successivo, oggetto di ulteriore giudizio, in quanto i reati ritenuti in continuazione costituiscono momenti di un'unica condotta illecita, caratterizzata dalla reiterazione di diversi episodi delittuosi, consumati in attuazione di un medesimo disegno criminoso; da ciò è stato fatto derivare che non è possibile ritenere la recidiva per gli episodi successivi al primo."
La Corte, con la sentenza in commento, ribadisce nuovamente la correttezza dell'orientamento più risalente. Ritiene infatti, il Supremo Collegio che la linea interpretativa prevalente sia la più corretta in quanto l'orientamento minoritario erra nel considerare i reati uniti dal vincolo della continuazione come frammenti di un'unica condotta illecita, senza profili di autonomia tra di loro. Le singole condotte infatti "risulterebbero, in tal modo, unificate in unico momento di insofferenza del soggetto agente rispetto alla efficacia cogente della norma precettiva penale." Esse invece, al contrario, ben possono rappresentare la pervicacia del soggetto attivo nel disobbedire ai dettami dell'ordinamento.
Con l'altra impostazione, invece, osserva sempre la Corte, si giungerebbe all'estremo di paragonare il reato continuato ad un concorso formale di reati.
I due istituiti però sono profondamente diverse: il concorso formale di reati si caratterizza per una pluralità di reati che corrisponde però ad un'unica condotta sorretta da un unico volere.
Il reato continuato, all'inverso, invece richiede ontologicamente autonomia materiale e cronologica tra le singole condotte. Occorre infatti che vi siano più comportamenti fra loro non contestuali e l'esistenza della deliberazione di un programma di massima, che viene realizzato attraverso la commissione di più illeciti penali già tratteggiati almeno nelle loro linee essenziali.
Di volta in volta poi le varie condotte sono assistite da un'autonoma volontà.
La continuazione rappresenta quindi una mera fictio juris ovvero una finzione con cui si considerano come unitarie autonome violazioni al fine del trattamento penale del soggetto agente.
Tuttavia, tale autonomia anche volitiva può anche rappresentare un valido sintomo della maggiore pericolosità penale del soggetto agente dato che può essere indice di una radicata e persistente insofferenza del soggetto rispetto ai dettami della legge.
Conclude la Corte che tale rilievo non può che portare a ritenere la compatibilità tra recidiva e continuazione.
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Sono un giovane avvocato presso il foro di Siena.
Mi sono laureata presso l'Università degli Studi di Siena nel 2015 in diritto penale amministrativo e responsabilità degli enti giuridici (d.lgs. 231/2001).
Presso lo stesso Ateneo ho conseguito il diploma presso la scuola di specializzazone per le professioni legali nell'estate del 2017.
La mia passione per i viaggi e per la tutela dei diritti, mi ha portato più volte in Africa al seguito di progetti di cooperazione internazione insiema alla mia famiglia.
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