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Concessione di suolo pubblico, CdS: “Legittima la decadenza se si realizza sul suolo un’opera diversa da quella autorizzata”

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Con la pronuncia n. 2028 dello scorso 27 marzo, il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità di un provvedimento di decadenza della concessione di suolo pubblico, in quanto sul suolo, piuttosto che un gazebo aperto, era stata realizzata una struttura chiusa di dimensioni più ampie di quelle assentite. Si è quindi specificato che il concessionario viola gli obblighi nascenti dal titolo abilitativo relativo all'utilizzo del suolo pubblico e, dunque, non ne rispetta i limiti, non solo se occupa un'estensione maggiore di quella autorizzata, ma anche quando realizza sulla stessa un'opera diversa rispetto a quella assentita, risultando l'autorizzazione all'occupazione del suolo pubblico essere stata concessa espressamente per la collocazione su di esso di tale manufatto.

Nel caso sottoposto all'attenzione del Consiglio di Stato, un Comune calabro autorizzava una società alberghiera all'occupazione permanente di suolo pubblico al fine di procedere con l'installazione di un gazebo per il posizionamento di sedie e tavolini per la stagione estiva.

Successivamente ad una ispezione, veniva accertato che la società aveva violato le disposizioni contenute negli atti autorizzatori a suo favore rilasciati, in quanto, in luogo del gazebo, si erano realizzate delle opere edilizie consistenti nel posizionamento di una struttura in alluminio anodizzato corredata di porte e finestre, occupando una superficie di suolo pubblico superiore a quanto concesso.

A seguito di tanto, si disponeva la decadenza dell'autorizzazione di occupazione di suolo pubblico. 

Il provvedimento veniva confermato dal Tar di Reggio Calabria, il quale rilevava che, a fronte della realizzazione di abusi edilizi sul bene dato in concessione, la decadenza costituiva attività doverosa e di natura vincolata: secondo il collegio giudicante, l'occupazione di una porzione di suolo, sia pur lievemente più ampia di quella effettivamente concessa, avrebbe fatto venir meno l'oggetto della concessione.

La società alberghiera, proponendo appello al Consiglio di Stato, deduceva che il giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere vincolata l'adozione del provvedimento di decadenza.

A sostegno di tanto, l'appellante rilevava che l'occupazione, rispetto a quanto autorizzato, era eccedente di soli 14 mq, sicché il provvedimento di decadenza era da ritenersi illegittimo, atteso il mancato rispetto dell'esigenza di proporzionalità tra le violazioni contestate e la sanzione inflitta.

In particolare, secondo la difesa, la risoluzione del vincolo scaturente dalla concessione poteva derivare unicamente dall'inadempimento di violazioni aventi notevole rilevanza nell'economia del rapporto e, dunque, di violazioni gravi, nella specie non sussistenti, vieppiù in considerazione della possibilità del concessionario di apportare variazioni al bene in concessione, salvaguardandone destinazione, funzioni e fruibilità collettiva.

Il Consiglio di Stato non condivide le doglianze formulate. 

In punto di diritto si precisa che il concessionario viola gli obblighi nascenti dal titolo abilitativo relativo all'utilizzo del suolo pubblico non solo se occupa un'estensione maggiore di quella autorizzata, ma anche se realizza sulla stessa un'opera diversa rispetto a quella assentita, qualora l'autorizzazione all'occupazione del suolo pubblico sia stata concessa espressamente per la collocazione su di esso del manufatto non realizzato.

Con specifico riferimento al caso di specie, i Giudici rilevano come il provvedimento di decadenza della concessione trovasse il proprio presupposto non solo nell'occupazione di una maggiore superficie rispetto allo spazio originariamente concesso, ma anche nella realizzazione dell'abuso edilizio consistente nell'esecuzione di un'opera integralmente diversa – per natura e consistenza – rispetto a quella assentita.

Le difformità realizzate (creazione di una struttura chiusa su tutti i lati, dotato di infissi, porte e di balaustre in legno pieno, in luogo di un gazebo aperto di dimensioni più ridotte) non solo qualificano come estremamente grave la condotta realizzata, ma giustificano anche il provvedimento di decadenza della concessione.

Infatti, costituiscono elementi essenziali della concessione sia la superficie concessa che l'opera per la cui installazione risulta rilasciata, sicché una modifica rilevante di tali elementi, pur nella conservazione della destinazione d'uso originaria, è idonea a concretare un "abuso" giustificativo di una pronuncia di decadenza: la gravità del comportamento tenuto dal privato implica la natura vincolata e dovuta del provvedimento di decadenza adottato dal Comune non essendo al riguardo previsti margini di discrezionalità né obblighi di valutazione dell'interesse pubblico.

In ragione di tanto, il Consiglio di Stato rigetta il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 

 

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