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Cinema Forense - Un pesce di nome Wanda

Cinema Forense - Un pesce di nome Wanda

La trama di Un pesce di nome Wanda è semplice: in seguito a una rapina commessa a Londra da una scalcagnata banda americana, composta da personaggi uno più grottesco dell'altro, nasce una indagine e poi un processo, nel quale l'imputato (uno dei componenti della banda tradito dai suoi complici) è difeso da un avvocato interpretato da John Cleese. 

 La prima cosa da dire su questo film è che si tratta di uno dei pochissimi contributi britannici alla cinematografia forense. Il film è ambientato a Londra, come i film del ciclo di Bridget Jones con l'avvocato Mark Darcy, interpretato da Colin Firth (che invece, come abbiamo specificato nell'introduzione, non possono essere classificati come "forensi"). Ambientata in Inghilterra è anche una operetta intitolata Trial by jury (Processo con giuria) che risale al 1875, con musiche di Arthur Sullivan su libretto di W.S. Gilbert, più volte rappresentata nei teatri londinesi con successo, che ebbe anche una trasposizione cinematografica di scarso successo: è la storia – musicata – di un processo dove si discute una promessa di matrimonio non rispettata (da parte di lui), che si conclude con una proposta di matrimonio che il giudice rivolge a lei (l'attrice o querelante). Gli attori sono – ovviamente – tutti cantanti d'opera: tenore, baritono, basso e soprano.


Ma torniamo a Un pesce di nome Wanda, precisamente all'attore John Cleese, il quale era laureato in legge (a Cambridge, dove intraprese l'attività di attore in una compagnia teatrale) e mise in pratica questo suo titolo scrivendo soggetto e sceneggiatura del film; Cleese in patria era molto famoso, non solo e non tanto per questo film quanto come componente di un gruppo comico (i Monty Python), mentre da noi è famoso soprattutto per aver interpretato il ruolo del capo del laboratorio del servizio segreto inglese (Q) nel ciclo di 007, quando James Bond era interpretato da Pierce Brosnan.

 Dal punto di vista dell'avvocato-spettatore, questo film ha due chiavi di lettura che meritano di essere trattate separatamente.

Il primo profilo riguarda il diritto comparato, precisamente il confronto tra il processo penale italiano e quello inglese.

Quella che da noi si chiama "fase delle indagini preliminari" a Londra si chiama "prima fase" e questo lo vedrete in una scena nella quale l'avvocato spiega a Jamie Lee Curtis (che interpreta la compagna di uno dei componenti della banda) come si svolge un processo penale a Londra; tra l'altro, dopo questo film la Curtis si ritirò dalle scene e rimase a Londra, avendo sposato un aristocratico.

La distinzione tra udienza preliminare e dibattimento

– che si vede nel film - è una distinzione che il nostro codice di procedura penale ha importato dal sistema angloamericano;dasottolinearechequestofilmè del

1988, l'anno in cui venne approvato il nostro codice di procedura penale.

Nel film si nota la differenza tra udienza preliminare e dibattimento anche nell'abbigliamento dell'avvocato, perché egli indossa la toga solo nel dibattimento, comeda noi.

Per la verità, oltre alla toga indossa anche una vistosa parrucca, tipica degli avvocati inglesi; molti avvocati italiani, invece, si sono pentiti di non essere diventati parrucchieri.

Altra differenza tra processo italiano e processo inglese desumibile da questo film è il concetto di atto irripetibile, che nel film emerge con riferimento a un verbale di sommarie informazioni testimoniali rese da una vecchietta (testimone oculare della rapina) che poi muore prima del processo: quel verbale, che noi consideriamo atto irripetibile, acquisibile dal giudice (su richiesta delle parti), per gli inglesi contiene dichiarazioni inutilizzabili.

Il secondo profilo d'interesse per lo spettatore- avvocato è quello deontologico.

L'avvocato del film si renderà conto egli stesso (esplicitandolo) che il suo comportamento è ai limiti della correttezza ed anzi nella parte finale del film travalicherà quel limite per sfociare in una condotta ricattatrice (come l'avvocato di Presunto innocente) e nella complicità in una ricettazione: il tutto pur di raggiungere il suo obiettivo, che è extraprofessionale e riguarda il suo futuro personale (abbandonerà la sua patria e la sua famiglia).

Questo secondo profilo c'interroga prima sul ruolo dell'avvocato in generale e poi sul come noi abbiamo esercitato ed esercitiamo la nostra professione.

Il compito di noi avvocati non è quello di far rispettare la legge (questo compito spetta ai prefetti, ai corpi di polizia e ai magistrati) e nemmeno di applicarla al caso concreto (questo compito spetta ai giudici).

Il nostro compito è quello di raggiungere il miglior risultato possibile, nelle condizioni date, sulla base di un mandato conferitoci da un cliente: una sentenza favorevole, un accordo transattivo, una conciliazione, un lodo arbitrale, l'assoluzione di un imputato, ecc.

Pongo una domanda a voi avvocati-lettori e naturalmente non mi aspetto una risposta: abbiamo mai violato la deontologia o addirittura la legge (penale e/o fiscale)? Nel caso di risposta affermativa, perché lo abbiamo fatto?

 

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