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Questi quattro film (Il verdetto, Il processo di Frine, Philadelphia, I bassifondi di San Francisco, ndr) ci offrono lo spunto per riflettere su uno dei principi del processo: l'oralità. In generale, per oralità del processo s'intende che l'istruttoria è caratterizzata da parole pronunciate e non scritte, dunque destinate a essere udite. Di conseguenza, l'oralità si manifesta con una dichiarazione da parte di un soggetto (genericamente definito come dichiarante: l'imputato, l'attore, il convenuto o il testimone) che può essere ascoltata dal giudice e dai rappresentanti delle parti processuali (avvocati e pubblico ministero), i quali, a loro volta, possono rivolgere o hanno già rivolto domande al dichiarante. Il principio del contraddittorio, in base al quale la prova si forma alla presenza delle parti e nella loro dialettica, può essere considerato un corollario del principio di oralità o, in alternativa, è considerato autonomo principio processuale.
Chiave dell'oralità è il fatto che qualcuno ascolta per decidere. Qui entriamo nel dettaglio.
In Italia, nel processo civile chi ascolta decidere è il giudice e solo lui. Anche nel processo penale chi ascolta per decidere è solo il giudice (monocratico o collegiale)ma il processo penale, a differenza di quello civile e tranne poche eccezioni, è un processo pubblico, nel senso che qualunque cittadino può assistere all'udienza penale.
Negli Stati Uniti, invece, chi ascolta per decidere è la giuria, mentre il giudice ha una funzione paragonabile a quella del direttore d'orchestra, dovendo limitarsi a imporre il rispetto delle regole, in particolare ammissibilità dei testimoni e ammissibilità delle domande a loro rivolte; il compito di giudicare le risposte dei testimoni spetta, infatti, ai giurati (lo si nota anche perché il testimone americano quando risponde si rivolge ai giurati, mentre il testimone italiano si rivolge al giudice).
Nel processo americano, pertanto, l'oralità si manifesta con maggiore evidenza rispetto al processo italiano, perché il principio di oralità riguarda non solo i processi penali (come in Italia) ma anche i processi civili; ulteriore conseguenza è che l'avvocato americano è più abituato alla dialettica rispetto a quello italiano. La stessa retorica, parente stretta della dialettica, sublimandosi nell'arringa33 si manifesta in forme diverse: in Italia solo quando l'avvocato deve rassegnare le conclusioni in un processo penale, negli Stati Uniti anche in una causa di risarcimento danni e persino quando si discute una causa di lavoro per licenziamento ingiustificato.
Non a caso illustriamo unitariamente questi film, che hanno per oggetto, rispettivamente, un processo penale per atti osceni in luogo pubblico (Il processo di Frine), una causa di risarcimento danni (Il verdetto), una causa di lavoro per licenziamento ingiustificato (Philadelphia) e un processo per omicidio (I bassifondi di San Francisco), precisando che il primo citato non è un film ma l'episodio di un film intitolato Altri tempi – Zibaldone n. 1.
Nel primo film il ruolo dell'avvocato venne interpretato da Vittorio De Sica, per l'ennesima volta nella sua carriera alle prese con la toga di avvocato3. L'imputata venne interpretata da Gina Lollobrigida e quel film passò alla storia della lingua italiana perché De Sica coniò il neologismo di "maggiorata" per descrivere le prosperose forme della Lollobrigida. Oggi, nel bene o nel male, quel neologismo è caduto in disuso, sostituito da altri ben più pittoreschi; analoga sorte ha subito il neologismo paninaro, utilizzato in certo cinema minore italiano a metà degli anni Ottanta.
Richiamando quanto scritto sopra sull'oralità che si manifesta quando c'è qualcuno che ascolta, non possiamo fare a meno di ricordare che in quel film, come in tanti altri film italiani nei quali vi è la scena di una arringa (per esempio Divorzio all'italiana), vi è un folto pubblico nell'aula, a sottolineare la teatralità del momento (la giustizia come spettacolo).
Nel secondo film il ruolo dell'avvocato è stato interpretato da Paul Newman, per la seconda volta nella sua carriera alle prese con il ruolo di un avvocato: la prima fu ne I segreti di Philadelphia (USA, 1959) e in entrambi questi film ritroviamo il tema – classico nel cinema forense – dell'avvocato che si redime.
A parere del sottoscritto, l'arringa di Paul Newman è stata la migliore nella storia del cinema.
Nel terzo film troviamo ben due avvocati, interpretati da Tom Hanks e Denzel Washington, con la differenza che il primo alterna scene nelle quali esercita la professione con scene nelle quali è la parte processuale (il ricorrente), mentre il secondo è il suo difensore.
Hanks ricevette il Premio Oscar come miglior attore per questa sua interpretazione, mentre un secondo Premio Oscar venne assegnato a Bruce Springsteen, come autore della canzone Streets of Philalelphia. Ritroveremo Tom Hanks nel ruolo di un avvocato ne Il ponte delle spie.
Questo è l'unico film forense che affronta il tema di un processo di lavoro (un licenziamento senza giusta causa) ed è anche significativo per la scena in cui la giuria "legge" il verdetto, perché ci ricorda che nel processo americano il verdetto (cioè il dispositivo della sentenza) compete alla giuria, mentre il giudice ha il compito di descrivere l'istruttoria quando scrive la sentenza.
I bassifondi di San Francisco lo segnaliamo non solo per l'arringa dell'avvocato (interpretato daHumphrey Bogart) ma anche per gli aspetti sociologici sulla devianza criminale.
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