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Chiede insistentemente denaro ai genitori per drogarsi: condannato per estorsione

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Con la sentenza n. 16577 dello scorso 1 giugno, la II sezione penale della Corte di Cassazione, ha condannato un ragazzo che aveva minacciato, anche con violenza, i genitori per ottenere il denaro necessario per l'acquisto di droga, confermando la condanna per estorsione sul presupposto che " la minaccia e la violenza poste in essere ai danni dei genitori per ottenere il denaro necessario all'acquisto di stupefacenti sono idonee a configurare l'ipotesi di cui all'art. 629 c.p., mostrandosi, tra l'altro, in assoluta incompatibilità con la scriminante di cui all'art. 649 c.p. concernente i fatti commessi a danno dei congiunti".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un ragazzo accusato dei delitti di maltrattamenti ed estorsione continuata in danno dei genitori.

In particolare l'uomo aveva costretto i propri genitori, con violenze e minacce a cadenza quasi quotidiana, ad elargirgli decine di euro destinate all'acquisto di stupefacenti; nell'arco delle settimane si erano susseguiti violenti episodi di maltrattamenti, tanto da indurre i vicini di casa a chiamare il 118 e il 112 per richiedere aiuto in occasione di una accesa aggressione, nel corso della quale il padre dell'imputato era stato colpito con uno schiaffo e la madre era caduta a terra in preda a grave shock, con successiva diagnosi di stato di ansia.

Per tali fatti, sia il Tribunale di Catania che la Corte d'appello di Catania riconoscevano il ragazzo colpevole dei delitti contestati e lo condannavano alla pena di giustizia. 

Ricorrendo in Cassazione, l'imputato eccepiva violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla configurabilità dei reati, deducendo come la Corte aveva formulato il suo giudizio di responsabilità basandosi sulle sole dichiarazioni dei genitori.

A tal fine evidenziava, in ordine al delitto di estorsione, come difettasse la prova che l'esercizio della forza fisica fosse finalizzato ad ottenere somme di denaro, sicché si sarebbe stato in presenza della scriminante di cui all'art. 649 c.p.; in merito al reato di maltrattamenti in famiglia, eccepiva come i genitori avessero richiamato due episodi nei quali si faceva riferimento soltanto ad ingiurie urlate ed a danneggiamento di oggetti, ma non a violenze o minacce.

La Cassazione non condivide le doglianze formulate.

Gli Ermellini rilevano come le censure mosse dal ricorrente – secondo cui la Corte avrebbe omesso di ricostruire sotto il profilo fattuale e probatorio i reati contestati – non si confronta con la motivazione delle sentenze dei giudizi di primo e secondo grado che, integrandosi a vicenda, hanno esaminato con chiarezza e organicità le risultanze processuali acquisite nel corso del processo, senza incorrere in vizio logico alcuno. 

 A tal fine, sono stati valorizzati tutti i dati probatori a carico dell'imputato e l'affermazione di responsabilità si è fondata non solo sulle dichiarazioni delle persone offese – la cui attendibilità è stata riconosciuta anche alla luce del loro comportamento processuale, non essendosi costituite parti civili ed apparendo preoccupate per il figlio – ma anche su quelle di amici e vicini di casa, nonché su certificati medici e sulle ammissioni degli addebiti da parte dello stesso imputato.

All'esito della corretta ricostruzione operata dal giudice di primo grado, e confermata pienamente dalla sentenza impugnata, i giudici di merito hanno evidenziato come le condotte abituali dell'imputato, lungi dal presentarsi come sporadiche manifestazioni di un atteggiamento di contingente aggressività, erano tali da integrare persistenti vessazioni morali e materiali di differente natura ai danni delle persone offese, così da essere idonee ad integrare il reato abituale di maltrattamenti in famiglia.

Allo stesso modo, le condotte - minacciose e violente - poste in essere ai danni dei genitori per ottenere il denaro necessario all'acquisto di stupefacenti sono state ritenute idonee a configurare l'ipotesi di cui all'art. 629 c.p., mostrandosi, tra l'altro, in assoluta incompatibilità con la scriminante di cui all'art. 649 c.p. concernente i fatti commessi a danno dei congiunti.

In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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