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Viterbo e Manduria: cosa abbiamo sbagliato?

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Forse dovremmo cominciare a chiederci perché questi ragazzini siano sempre più sfrontati e si sentano invincibili, agendo come chi non si rende conto delle enormità commesse.

"Sono tutti ragazzi normalissimi, studenti di liceo nati e cresciuti a Manduria in contesti familiari a modo, figli di commercianti e impiegati pubblici" dice il legale che assiste sette dei quattordici giovanissimi della baby gang sospettata di aver causato la morte di Antonio Cosimo Stano, l'anziano picchiato e rapinato poi deceduto dopo 18 giorni di agonia all'ospedale. Stando a quanto emerso Stano soffriva di disagio psichico e per questa ragione era stato preso di mira da tempo dalla baby gang. In altre circostanze – infatti - l'uomo sarebbe stato bullizzato, sempre nella sua casa e sempre da parte dello stesso gruppo di adolescenti. A trovarlo seduto immobile su una sedia lo scorso 6 aprile sono stati gli agenti del locale Commissariato che erano intervenuti nella casa a seguito di alcune segnalazioni da parte dei vicini, preoccupati perché non lo vedevano da giorni. E' probabile che su quella sedia il 66enne giacesse da giorni senza alimentarsi. L'uomo era stato soccorso e portato in ospedale dove era stato ricoverato e sottoposto anche a due interventi chirurgici per suturare una perforazione gastrica e per una emorragia intestinale, ma purtroppo si è rivelato tutto inutile.

"Stano è stato fatto oggetto di un trattamento inumano e degradante, braccato dai suoi aguzzini, terrorizzato, dileggiato, insultato anche con sputi, spinto in uno stato di confusione e disorientamento, costretto ad invocare aiuto per la paura e l'esasperazione di fronte ai continui attacchi subiti e, di più, ripreso con dei filmati (poi diffusi in rete nelle chat telefoniche) in tali umilianti condizioni": così scrive la gip Romano nell'ordinanza di custodia cautelare per i due maggiorenni. Secondo la giudice, i nuclei familiari dei due indagati "hanno dato prova di incapacità a controllare ed educare i due giovani", da qui la decisione di escludere la concessione degli arresti domiciliari. A metterci il carico da undici arrivano, durissime, le parole di una maestra della scuola elementare della cittadina pugliese dove più di uno dei 14 indagati per l'omicidio del pensionato ha studiato: "Per carità la noia. Se ci fossero un cinema e un teatro a Manduria non esisterebbero le baby gang? Qui il problema è uno, ma costa ammetterlo: questi ragazzini vivono in un contesto di impunità fin da piccoli grazie a genitori pronti a difenderli sempre e comunque, pur davanti a evidenze vergognose".

Generalizzare è sempre sbagliato, e accusare una comunità sarebbe azzardato. Ma forse dovremmo cominciare a chiederci perché questi ragazzini siano sempre più sfrontati e si sentano invincibili, agendo come chi non si rende conto delle enormità commesse. Quella banda di bulli feroci si rallegrava condividendo in chat le torture su una persona debole e indifesa. Lo faceva perché era consapevole del senso di impunità che le famiglie avevano trasmesso. La povera vittima invocava in modo straziante le forze dell'ordine perché lo difendessero da quella muta di bestie crudeli. Eppure c'eranodelle famiglie, in molti sapevano ma assistevano impassibili alle gesta disgustose di rampolli decerebrati che sghignazzavano mentre colpivano un poveretto fragile e inerme. A Manduria, come a Viterbo, ci sono i video che circolano in chat e coinvolgono gruppi di persone senza destare il minimo sdegno. A Viterbo c'è anche un padre tra i destinatari del video dello stupro, e lui cosa fa? "Riccardo, devi buttare immediatamente il telefono". Ma cosa siamo diventati? Padri complici, famiglie corresponsabili del bullismo dei figli vigliacchi, genitori che si limitano a fare il palo mentre i loro figli si abbandonano all'ordinaria follia della prepotenza impunita. Che fine hanno fatto il senso morale e la compassione?  

 

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