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Con la pronuncia n. 25604 depositata il 12 ottobre, la I sezione civile della Corte di Cassazione, ha disposto l'assegnazione della casa coniugale alla madre e alla figlia maggiorennecon lei convivente, nonostante la presenza di un figlio minorenne collocato presso l'abitazione del padre, precisando che l'assegnazione "è espressamente condizionata soltanto all'interesse dei figli e alle esigenze della permanenza di questi ultimi nel quotidiano loro habitat domestico,essendo scomparso il "criterio preferenziale" costituito dall'affidamento della prole" .
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Brindisi,modificando le condizioni di separazione personale dei coniugi fissate in un accordo omologato, disponeva l'affidamento congiunto del figlio minoread entrambi i genitori, con collocamento prevalente presso il padre, assegnandoli la casa coniugale.In capo al padre poneva, altresì, l'obbligo di contribuire al mantenimento della figlia maggiorenne, ma non autosufficiente, convivente con la madre e di versare a quest'ultima un contributo mensile per la locazione di altra abitazione.
Nel corso del giudizio di secondo grado, la Corte d'Appello di Lecce, in parziale riforma di quanto stabilito dal Tribunale, accoglieva il ricorso proposto dalla moglie e le assegnava la casa coniugale.
La Corte rilevava che la situazione coinvolgente il figlio minore – e, nello specifico, il suo rifiuto a vivere con la madre, ragione per cui ne era stata disposta la collocazione in prevalenza presso il padre – non poteva ritenersi un "fatto nuovo", idoneo a giustificare la modifica delle condizioni di separazione, tuttavia essa rappresentava un dato effettivo, diverso da quello esistente al momento della separazione, vieppiù in ragione della circostanza che, da circa sei anni, il minore si era trasferito dalla nonna(la quale, pur abitava, nello stesso stabile), abbandonando così la casa coniugale che era stata affidata al padre proprio in ragione della coabitazione con il figlio minore.
In ragione di tanto, i Giudici di secondo grado – rilevando che da qualche mese nella casa coniugale la moglie vi coabitava con la figlia, maggiorenne, ma non autosufficiente, cosicché detta casa coniugale poteva definirsi "stabile abitazione" per la figlia e non per il figlio minore – ritenevano necessario assegnare la casa coniugale alla donna; di conseguenza, veniva revocata la previsione dell'obbligo dell'ex marito di contribuire economicamente al reperimento di altro alloggio da parte della moglie.
Ricorrendo in Cassazione,il padre censurava la decisionedella Corte di merito per violazione ex art. 360 c.p.c. n. 3 dell'art. 155 c.c., nonché per "omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione" ex art. 360 c.p.c. n. 5, in relazione al capo della decisione con il quale si era statuito sull'assegnazione della casa coniugale, dando rilievo prioritario all'interesse della figlia maggiorenne– la quale peraltro, essendo studentessa universitaria, era spesso "fuori sede" – rispetto a quello del figlio minore, costretto, per le relazioni conflittuali dei genitori, ad andare a vivere dalla nonna.
La Cassazione non condivide le difese formulate dal ricorrente.
I Supremi Giudici ricordano che le disposizioni in materia (l'abrogato art. 155, comma 4, c.c. e l'ormai vigente art. 337 sexies c.c.) nel prevedere che "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli", hanno una ratio di protezione nei confronti di questi ultimi, tutelandone l'interesse a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, per mantenere le consuetudini di vita e le relazioni sociali che in esso si radicano (ex multiis, Cass. 21334/2013, Cass. 14553/2911 e Cass. 16398/2007).
L'assegnazione della casa coniugale non rappresenta, infatti, una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio o un modo per realizzare il mantenimento del coniuge più debole; nel nuovo regime, essa è espressamente condizionata soltanto all'interesse dei figli, essendo scomparso il "criterio preferenziale" costituito dall'affidamento della prole, a fronte del superamento, in linea di principio, dell'affidamento monogenitoriale in favore della scelta, di regola, dell'affido condiviso (Corte Costituzionale 308/2008).
Gli Ermellini evidenziano come la scelta cui il giudiceè chiamato non può prescindere dall'affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti che funge da presupposto inderogabile dell'assegnazione, sottolineando come suddetta scelta, inoltre, neppure può essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura solo economica dei coniugio tanto meno degli stessi figli, in cui non entrino in gioco le esigenze della permanenza di questi ultimi nel quotidiano loro habitat domestico(Cass. 23591/2010).
L'assegnazione della casa familiare in conclusione è "uno strumento di protezione della prole e non può conseguire altre e diverse finalità": in virtù di tanto è incensurabile la decisione della Corte di Appello, la quale ha fatto corretta applicazione dei principi che infondano la materia.
La Corte evidenzia infatti come, nel caso di specie, non siano state violate le disposizioni civilistiche, avendo la Corte d'appello accertato, in fatto, che la figlia maggiorennema non ancora autosufficiente economicamente, in quanto studentessa universitaria presso l'Università di Lecce, aveva mantenuto un collegamento stabile con l'abitazione, nella quale conviveva con la madre, a differenza del figlio minoreil quale si era volontariamente allontanato da detta casa, andando a vivere con la nonna (e con il padre).
Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del giudizio di legittimità.
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