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Avvocati. Le spese forfettarie possono essere inferiori al 15%?

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Con parere n.38 del 28 giugno 2024 il Consiglio Nazionale Forense si è espresso sul quesito relativo alla possibilità che, in sede di accordo contrattuale (2233 c.c.) e/o di partecipazione ad un bando pubblico, si operi una riduzione degli esposti forfettari a importo inferiore al 15%. Lo scopo del quesito posto al Consiglio era quello di fare chiarezza, al fine di evitare che l'eventuale riduzione delle spese forfettarie al di sotto de 15%, possa comportare una violazione della disciplina sull'equo compenso.

Il parere del Consiglio

Sul punto il Consiglio ha ricordato che la disciplina delle "spese forfetarie" è contenuta nell'art.13, comma 10 L. n. 247/2012, a norma del quale, in caso di determinazione contrattuale, oltre al compenso per le prestazioni professionali, il cliente deve all'avvocato una somma per il rimborso delle spese forfetarie, la cui misura massima è determinata con decreto.

Il d.m. n. 55/2014 ha quantificato le suddette spese nella misura del 15% del compenso totale per la prestazione. Successivamente il d.m. n. 147/2022 ha previsto che la misura del 15% è fissa e determinata ex lege, con la conseguenza che:

  • la voce "spese forfetarie" costituisce un parametro di riferimento vincolante sia per il giudice nella liquidazione giudiziale del compenso, sia per le parti: infatti, atteso che i parametri costituiscono indicatori di valore economico medio della prestazione professionale, le "spese forfetarie" costituiscono una componente del compenso dell'avvocato e non rientrano fra gli "oneri accessori";
  • è precluso al giudice di intervenire nella quantificazione sia in riduzione che in aumento;
  • le spese forfetarie spettano automaticamente all'avvocato anche in assenza di allegazione specifica e di espressa richiesta (ciò a differenza delle spese vive, che invece devono essere documentate e richieste dell'avvocato) (Cass. 4 gennaio 2024, n. 217).

 Spese forfettarie e disciplina sull'equo compenso

L'art.3 L. n. 49/2023 sull'equo compenso stabilisce la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all'opera prestata, laddove "sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell'art. 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247".

La norma distingue tra i parametri relativi ai compensi degli avvocati e quelli relativi agli altri professionisti. Riguardo ai parametri previsti per gli avvocati, il Consiglio ha precisato che sia la legge n. 247/2012, sia i decreti ministeriali di quantificazione della percentuale, prevedono per l'avvocato un compenso maggiorato del 15% per spese forfetarie, con preclusione al giudice di intervenire sulla quantificazione.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità in materia, ha precisato che anche la maggiorazione del compenso del 15% ha la natura di compenso, atteso che si tratta sempre dello stesso compenso, maggiorato (allo stato del 15%), tant'è che le spese vive e documentate non possono essere incluse nella percentuale additiva del rimborso spese generali (Cass. 7 luglio 2020, n. 15985).

Ne discende che in base ad una interpretazione logico-sistematica della disciplina di cui all'art.13, comma 10 L. n. 247/2012 e al d.m. n.55/2014 (e successive modificazioni) e della L. n. 49/2023 sull'equo compenso, l'eventuale riduzione della percentuale del 15% stabilita dal decreto ministeriale per le spese forfetarie dell'avvocato determina un ribasso del "compenso" parametrico dell'avvocato, con conseguente violazione della disciplina dell'equo compenso di cui alla L. n. 49/2023.

Questa interpretazione risulta, peraltro, coerente con le recenti sentenze del Tar Veneto n. 632/2024 e del Tar Lazio n. 8580/2024 che hanno affermato la natura di norma imperativa della disciplina di cui alla legge n. 49/2023, come desumibile sia dalla disciplina della nullità di protezione, sia dalla natura dell'interesse protetto. La giurisprudenza amministrativa ha, infatti, specificato che la nullità stabilita dall'art.3 della legge sull'equo compenso costituisce nullità relativa o di protezione, che consente al professionista di impugnare l'accordo che preveda un compenso iniquo innanzi al Tribunale territorialmente competente, al fine di chiedere la rideterminazione del compenso per l'attività professionale prestata con l'applicazione dei parametri previsti dal decreto ministeriale relativo alla specifica attività svolta (Tar Lazio n. 8580/2024, n.d.r.).

Le suddette sentenze hanno, quindi, ritenuto che in sede di gara siano illegittime le offerte al ribasso sulla voce dei compensi con riferimento alla professione di ingegnere ed architetto, per i quali vige una diversa disciplina parametrica in cui, tra l'altro, non è prevista la voce "spese forfetarie", ma solo la voce spese vive. 

 

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