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Avvocati. Fatturazione di somme per attività non espletate costituisce illecito disciplinare?

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Fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it/

Con sentenza n.66 del 13 marzo 2024 il Consiglio Nazionale Forense ha affermato che l'aver percepito e fatturato somme a titolo di compenso o acconto non costituisce illecito disciplinare e l'avvocato non è tenuto alla restituzione totale o parziale delle somme ricevute e relative ad attività non espletata a fronte di una semplice richiesta del cliente in quanto ciò viola il suo diritto di difesa.

Analizziamo il caso sottoposto all'attenzione del Consiglio Nazionale Forense.

I fatti del procedimento

Il ricorrente è stato sottoposto a procedimento disciplinare per aver violato, tra gli altri, i doveri di probità, dignità, decoro, lealtà, fedeltà e fiducia, di diligenza, di adempimento del mandato, di informazione in quanto ha ritardato l'adempimento del mandato conferitogli dal cliente, non ha informato adeguatamente i propri assistiti sullo svolgimento del mandato ed ha richiesto e trattenuto indebitamente le somme corrisposte dai clienti quale corrispettivo per una prestazione professionale, che non avrebbe mai adempiuto.

Per tali capi di imputazione l'avvocato è stato ritenuto responsabile disciplinarmente dal CDD, il quale ha applicato nei suoi confronti la sanzione della sospensione per due anni, per essere incorso in rilevanti violazioni deontologiche, tali da minare alla radice il vincolo fiduciario che lega l'avvocato al cliente e che costituisce l'essenza stessa della professione forense.

L'incolpato ha impugnato la decisione del CDD davanti al Consiglio Nazionale Forense lamentando in particolare in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione dell'organo disciplinare in quanto a parere del ricorrente il presunto profilo di illegittimità riguarderebbe i rapporti economici e gli aspetti contabili tra le parti che al CDD sarebbe precluso conoscere. 

 La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Il Consiglio Nazionale Forense ha rilevato

  • che dai documenti fiscali allegati agli atti risulta che le somme corrisposte dai clienti al ricorrente quale corrispettivo per la prestazione professionale sono state tutte debitamente oggetto di fatturazione e che l'incasso delle stesse è stato riferito ai compensi o alle spese dell'attività professionale oggetto del mandato;
  • e che, seppure con ritardo, l'avvocato ha posto in essere una significativa attività professionale, costituita nella redazione e nella proposizione dei ricorsi ex art. 447 bis cpc.

Riguardo all'obbligo di restituzione, il Consiglio ha affermato che l'avvocato che abbia incassato e regolarmente fatturato delle somme a titolo di acconto sui compensi per l'attività svolta o da svolgere, non ha l'obbligo di restituire immediatamente le suddette somme a fronte della richiesta dei clienti. Ciò in quanto le somme incassate dal professionista a titolo di compenso, o in conto dei compensi anche per attività ancora da svolgere, appartengono già all'avvocato sicché egli legittimamente le incassa e le trattiene.

Ne discende che qualora si contesti all'avvocato di non avere adempiuto correttamente agli obblighi discendenti dall'assunzione del mandato, non può prefigurarsi un obbligo, immediato ed automatico, di restituire quanto abbia legittimamente incassato.

Il Consiglio ha, infatti, evidenziato che affinché l'avvocato sia tenuto alla restituzione delle suddette somme ed alla refusione degli eventuali danni, occorre una declaratoria giudiziale di inadempienza e di condanna alla restituzione.

 Non è possibile, a parere del Consiglio, anticipare un tale obbligo alla richiesta del cliente ed addirittura far discendere dal suo mancato assolvimento una violazione deontologica e l'applicazione di una sanzione disciplinare, in quanto questo comporterebbe la violazione del diritto di difesa, atteso che il professionista, a fronte della semplice richiesta del cliente insoddisfatto diretta alla restituzione degli importi già versati a titolo di compensi, non potrebbe nemmeno contestare e difendersi se non incorrendo in un illecito deontologico. Ciò è confermato dalla circostanza che nella contestazione mossa al ricorrente non è stata indicata alcuna norma deontologica che si assume violata, né tipica né generale e, nella sostanza, si risolve nella mera petizione di principio per cui non avendo adempiuto alla prestazione promessa dovrebbe in modo automatico restituire le somme percepite in conto dei compensi.

Peraltro, il Consiglio ha rilevato che l'aver incassato e fatturato delle somme a titolo di compenso o di acconto non può in alcun modo essere assimilata ad una delle ipotesi disciplinate dall'art. 30 del codice deontologico forense in cui il professionista sia consegnatario di denaro altrui o che abbia ricevuto per conto della parte assistita. Infatti, a differenza dell'ipotesi di somme già percepite e fatturate a titolo di compenso che appartengono già all'avvocato e questi non è tenuto alla restituzione immediata, nel caso disciplinato dall'art.30 cit. l'avvocato è tenuto a restituire senza indugio le somme appartenenti a terzi.

Per questi motivi il Consiglio Nazionale Forense ha parzialmente riformato decisione del CDD nella parte in cui ha dichiarato l'avvocato responsabile per aver richiesto e percepito somme a titolo di compenso o acconto, dovendosi invece dichiarare il non luogo a provvedimento disciplinare per insussistenza di illecito deontologico.

 

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