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Avvocati e compensi sproporzionati. Violazione dei doveri di correttezza e probità.

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 La sentenza n. 66/2022 del Consiglio nazionale forense, ha respinto il ricorso di un legale contro la sospensione dalla professione disposta dal Consiglio di disciplina.

Secondo il codice deontologico, costituisce un illecito disciplinare avere percepito compensi sproporzionati rispetto all'attività difensiva svolta ( articolo 29 cdf), anche se erano stati concordati con il cliente determinati importi.

Tale illecito ha carattere istantaneo, per il quale il dies a quo del termine prescrizionale dell'azione disciplinare va individuato nel momento dell'avvenuto pagamento dei compensi spropositati.  

Nel caso in questione l'imprenditore ed il legale avevano pattuito come risultava dagli atti del procedimento che il legale incaricato di proporre il concordato fallimentare trattenesse, dalle somme ricevute in ragione del mandato, euro 20.000,00 a titolo di competenze professionali per l'attività svolta nel loro interesse, ma, ciò, secondo il CNF non basta a scriminarne la condotta.



Difatti, a prescindere dall'accordo intervenuto tra le parti, si legge nella decisione, "la determinazione in tal misura del compenso professionale deve ritenersi sproporzionata rispetto all'attività difensiva effettivamente svolta dall'avvocato ricorrente".

Dagli atti del procedimento disciplinare si evince come il legale, da un lato, abbia provveduto a recuperare, in via stragiudiziale, dei crediti vantati dalla società amministrata, per la somma complessiva di 81.424,91, euro e, dall'altro lato, a depositare un'istanza di concordato fallimentare, peraltro "non sorretta da alcuna garanzia e, pertanto, destinata ab origine ad essere dichiarata improcedibile".

Secondo la sentenza, per dimostrare l'adeguatezza del compenso così come concordato dalle parti, non è possibile fare riferimento, come sostenuto dal ricorrente, all'attività svolta dall'incolpato "nell'ambito di altre vicende giudiziarie", giacché l'esistenza di detta ulteriore attività difensiva non è stata documentata.

Pertanto, sulla base dei doveri di correttezza e probità cui ogni professionista è tenuto, la condotta dell'avvocato appare scorretta deontologicamente, in quanto il legale che chiede compensi eccessivi e sproporzionati rispetto alla natura e alla quantità delle prestazioni svolte, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante.



Il divieto di richiedere compensi manifestamente sproporzionati prescinde dal fatto che il cliente accetti di provvedere al relativo pagamento secondo la sentenza del CnF n. 146 del 6 dicembre 2019.

Una volta accertata la sussistenza degli elementi idonei a sanzionare disciplinarmente la condotta del ricorrente, gli organi disciplinari applicheranno la sanzione adeguandola alla gravità ed alla natura del comportamento deontologicamente non corretto. 

In particolare, la determinazione della sanzione disciplinare non è frutto di un mero calcolo matematico, ma è conseguenza della complessiva valutazione dei fatti (art. 21 cdf), avuto riguardo alla gravità dei comportamenti contestati, al grado della colpa o all'eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell'incolpato precedente e successivo al fatto, alle circostanze soggettive e oggettive nel cui contesto è avvenuta la violazione, ai precedenti disciplinari, al pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, nonché a particolari motivi di rilievo umano e familiare, come pure alla buona fede del professionista.

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