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Assegno divorzile: sentenze cassate con rinvio, se basate sul tenore di vita

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Con la sentenza n. 32398 dello scorso 11 dicembre, la I sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a vagliare la congruenza dell'importo stabilito dalla Corte di Appello di Trieste quale assegno divorzile, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, pronunciata sulla base di un quadro fattuale volto a considerare quale fosse il tenore di vita dei coniugi.

Si è difatti specificato che "il nuovo orientamento interpretativo, richiedendo un nuovo accertamento dei fatti, intesi in senso storico e normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito, impone, perché si possa dispiegare effettivamente il diritto di difesa, che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova conseguenti alle esigenze istruttorie conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di giudizio di rinvio".

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, un marito ricorreva presso la Corte di Appello di Trieste affinché, in riforma di quanto stabilito dal giudice di prime cure, si procedesse ad una revisione dell'importo stabilito quale assegno divorzile in favore dell'ex moglie.

La Corte di Appello confermava l'attribuzione e la determinazione dell'assegno divorzile per un importo pari ad Euro 2.000,00 mensili, respingendo le deduzioni dell'uomo relative all'inerzia dell'ex moglie nel reperire attività lavorativa dopo la conclusione del matrimonio.

In particolare, il giudice distrettuale, richiamata la giurisprudenza fino ad allora formatasi in tema di interpretazione dell'art. 5 della legge n. 898/1970, considerava sussistente una differente capacità reddituale delle parti, da ciò desumendo l'inadeguatezza dei redditi della donna, sessantenne invalida priva di redditi, a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio. 

Ricorrendo in Cassazione, l'uomo denunciava violazione e falsa applicazione dell'art. 5 comma 6 della legge n. 898/1970, rilevando come la sentenza impugnata aveva illegittimamente applicato il criterio del tenore di vita goduto nel matrimonio, senza tenere in debito conto dei mutamenti giurisprudenziali intervenuti e della deliberata mancata attivazione della donna nella ricerca di una nuova attività lavorativa.

La Corte condivide la posizione del ricorrente.

In punto di diritto gli Ermellini ricordano come – a seguito della sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Uniteil giudice, nella determinazione del quantum dovuto, deve compiere una valutazione complessiva dei parametri normativamente previsti dall'art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, effettuando una valutazione comparativa delle condizioni economico - patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto.

L'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge richiedente e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive non può fondarsi sul parametro, estraneo agli indicatori contenuti nella norma, del tenore di vita, ma deve essere tratto dagli espliciti criteri contenuti nella prima parte dell'art. 5, prestando particolare attenzione al concreto atteggiarsi dei ruoli endofamiliari nel corso del matrimonio. 

Ne deriva che il parametro del tenore di vita non costituisce più il fattore primario nell'attribuzione e nella determinazione dell'assegno di divorzio: i nuovi criteri attributivi e determinativi dell'assegno di divorzio (la durata, l'età, le ragioni della decisione ed, in particolare, la concreta conduzione della vita familiare), infatti, non risultano condizionati dall'accertamento del tenore di vita godibile durante il matrimonio ma sono volti ad accertare quale sia lo squilibrio economico patrimoniale (elemento fattuale che non può confondersi con il tenore di vita che costituisce il frutto di un giudizio) per potere procedere all'applicazione dei parametri integrati indicati dalle Sezioni Unite in funzione della finalità composita dell'assegno di divorzio.

Gli Ermellini specificano, quindi, che il tenore di vita non opera più come elemento determinante in funzione dell'accertamento del diritto ove gli altri indicatori conducano a ritenere che lo squilibrio fotografato dal quadro comparativo economico-patrimoniale e reddituale non sia stato determinato o favorito dalle scelte comuni cui è stata improntata la vita familiare: va escluso, quindi, il diritto all'assegno di divorzio qualora la condizione economico-patrimoniale e reddituale paritaria dei coniugi non risulti influenzata, positivamente o negativamente dalle scelte di conduzione della vita familiare cristallizzate nel concreto atteggiarsi dei ruoli dei coniugi al suo interno.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte d'appello ha fondato il proprio accertamento relativo all'attribuzione dell'assegno di divorzio esclusivamente sul superato criterio del tenore di vita godibile durante il matrimonio, senza verificare l'incidenza in concreto degli indicatori, provenienti dall'art. 5, c.6, primo comma così come declinati nella pronuncia delle S.U. n.18287 de 2018.

Da ultimo la Corte ricorda che il nuovo orientamento interpretativo, richiedendo un nuovo accertamento dei fatti, intesi in senso storico e normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito, impone, perché si possa dispiegare effettivamente il diritto di difesa, che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova conseguenti alle esigenze istruttorie conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di giudizio di rinvio.

La Corte accoglie quindi il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. 

 

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