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Avvocati. L'inadempimento del contratto di locazione costituisce illecito deontologico

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Fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it/

Con sentenza n.118 del 3 aprile 2024 il Consiglio Nazionale Forense ha affermato che l'avvocato che non adempia alle proprie obbligazioni nei confronti dei terzi, indipendentemente dalla natura privata o meno del debito, commette illecito deontologico, atteso che 1) tale onere di natura deontologica, oltre che di natura giuridica, è finalizzato a tutelare l'affidamento dei terzi nella capacità dell'avvocato al rispetto dei propri doveri professionali; 2) la negativa pubblicità che deriva dall'inadempimento si riflette sia sulla reputazione del professionista sia sull'immagine della classe forense.

Analizziamo la questione sottoposta all'attenzione del Consiglio Nazionale Forense.

I fatti del procedimento

Un avvocato è stato sanzionato con la sospensione dall'esercizio della professione per quattro mesi per aver tenuto una condotta contraria ai doveri di probità, dignità e decoro di cui all'art. 9 CDF e all'art. 63 CDF. La condotta contestata all'avvocato consiste nell'aver reiteratamente e volontariamente inadempiuto agli obblighi derivanti dal contratto di locazione. Il professionista, infatti, ha omesso sia il versamento dei canoni e delle spese condominiali sia il pagamento delle utenze di acqua e gas, nonché è venuto meno ai propri obblighi di custodia e di manutenzione dell'immobile locato e dei relativi impianti, prima occupando i locali locati in violazione delle norme di sicurezza, poi abbandonandoli in situazione di grave degrado, di inagibilità e di inutilizzabilità. Ciò ha comportato numerosi esborsi e cagionato ingenti danni al locatore, con violazione dei precetti deontologici di cui

  • all'art. 9 CDF che sancisce il dovere di probità, dignità e decoro),
  • all'art. 28 CDF che prevede riserbo e segreto professionale),
  • all'art. 63 che, in relazione al rapporto con i terzi, impone all'avvocato di comportarsi nei rapporti interpersonali, anche al di fuori dell'esercizio del suo ministero, in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l'affidamento dei terzi (comma 1) e
  • all'art. 64 CDF che impone all'avvocato di adempiere alle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi (commi 1) e considera come illecito disciplinare l'inadempimento ad obbligazioni estranee all'esercizio della professione quando, per modalità o gravità, sia tale da compromettere la dignità della professione e l'affidamento dei terzi (comma 2).

 Il professionista ha impugnato la decisione del CDD 1) sostenendo l'assenza dell'inadempimento in quanto il mancato versamento delle pigioni sarebbe stato giustificato dalla liberalità del locatore, il quale non avrebbe provveduto ad esigere il versamento dei canoni di locazione né si sarebbe adoperato per una disdetta. Queste attività sono state poi intraprese dagli eredi del deceduto locatore che hanno intimato al ricorrente lo sfratto per morosità; 2) contestando la congruità della sanzione anche considerato che all'epoca dei fatti contestati il ricorrente era in terapia, con invasivi farmaci antidepressivi e spesso delegava a terzi la cura delle proprie cose.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente il Consiglio ha ritenuto provata la sussistenza dell'inadempimento sia dei canoni di locazione che delle utenze, in quanto il provvedimento di convalida dello sfratto per morosità intimato dagli eredi del locatore costituisce la conferma che i canoni di locazione erano dovuti. Tra l'altro la mancata impugnazione dello sfratto da parte del ricorrente (che non si era opposto neppure alla convalida di sfratto), ha determinato che il provvedimento ha acquisito autorità di cosa giudicata.

Il Consiglio ha ritenuto provato anche il mancato pagamento delle bollette del gas, atteso che come risulta dalle relazioni tecniche e dalle dichiarazioni testimoniali, il gas era stato chiuso e staccato.
Conseguentemente il Consiglio ha ritenuto sussistere sia la responsabilità deontologica del ricorrente, sia la sussistenza dell'elemento soggettivo, ossia la suitas della condotta, intesa quale volontà consapevole dell'atto che si compie o che si omette (cfr., da ultimo, CNF 242/2022).

Nel caso in esame il Consiglio ha ritenuto che  la volontarietà sia sussistita tenuto conto anche del fatto che il ricorrente è un avvocato e, in quanto tale, pienamente consapevole dei suoi obblighi ai quali è venuto meno con le condotte contestategli.

 Riguardo alla sanzione il Consiglio non ha rilevato elementi che possano giustificare una riduzione della sanzione, non avendo il ricorrente dimostrato il suo asserito stato di depressione. In relazione alla determinazione della sanzione il Consiglio ha affermato che

  • la sanzione deve essere "commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all'eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione" e
  • nella determinazione della sanzione si deve tenere conto "del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell'immagine della professione forense, della vita professionale, dei precedenti disciplinari",
  • per la violazione più grave, concernente il mancato adempimento delle obbligazioni verso terzi, l'art. 64 CDF prevede la sanzione edittale della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale da due mesi a sei mesi, in considerazione del lasso di tempo in cui si erano svolte le condotte, degli ingenti danni economici cagionati al locatore, del mancato ristoro del danno provocato, del manifesto discredito cagionato alla categoria forense, dei precedenti disciplinari.

Per questi motivi il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto corretta e pienamente condivisibile la decisione del CDD e ha rigettato il ricorso. 

 

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