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Avvocati. Esistono scriminanti in caso di violazione dell'obbligo di formazione continua?

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Fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it/

Con sentenza n.121 del 3 aprile 2024 il Consiglio Nazionale Forense ha escluso che l'obbligo di aggiornamento professionale possa essere derogato o attenuato nel caso di impegni professionali ritenuti tanto assorbenti da precludere la stessa possibilità materiale di acquisire i "crediti formativi" richiesti. Tuttavia, l'ammissione della propria responsabilità disciplinare in relazione alla violazione dell'obbligo di formazione continua da parte dell'incolpato può mitigare la sanzione disciplinare da applicarsi.

Vediamo cos'è accaduto nel caso sottoposto all'attenzione del Consiglio Nazionale Forense

I fatti del procedimento disciplinare

Nel caso esaminato dal Consiglio, l'avvocato incolpato è stato sanzionato dal CDD con la sospensione dall'esercizio della professione forense per due mesi "per non aver adempiuto compiutamente all'obbligo formativo per il triennio 2014/2016 non avendo conseguito alcun credito formativo né nelle materie facoltative né in quelle obbligatorie".

Il CDD ha irrogato la suddetta sanzione valutando anche che, nel corso del procedimento disciplinare il professionista, non ha fornito alcuna spiegazione in merito al mancato adempimento dell'obbligo formativo, confermando in tal modo la sussistenza della violazione.

L'incolpato ha impugnato la decisione del CDD dinanzi al Consiglio Nazionale Forense sostenendo:

  • di esser venuto meno all'obbligo formativo per gravi motivi personali e familiari che gli hanno impedito di fatto di assolvere regolarmente al predetto obbligo;
  • di aver scelto di non partecipare al procedimento disciplinare poiché consapevole di non poter addurre alcun valido argomento a propria discolpa;
  • che la sanzione della sospensione di due mesi dall'esercizio della professione forense appare sproporzionata ed eccessiva rispetto ai fatti commessi, in quanto l'ammissione di responsabilità da parte dell'incolpato, insita nel non aver fornito giustificazioni in merito al mancato assolvimento dell'obbligo formativo, avrebbe dovuto essere considerata un motivo di mitigazione della sanzione anziché un'aggravante.

 La decisione del Consiglio

Sul punto il Consiglio Nazionale Forense ha richiamato la costante giurisprudenza disciplinare in materia, la quale esclude che l'intensa attività lavorativa possa scriminare l'inadempimento al dovere di formazione e aggiornamento professionale, in quanto

  • "L'obbligo di formazione continua sussiste per il solo fatto dell'iscrizione nell'albo e non subisce derogaattenuazioni nel caso di impegni professionali ritenuti tanto assorbenti da precludere -in thesi- la stessa possibilità materiale di acquisire i "crediti formativi" richiesti giacché, diversamente ragionando, detto obbligo finirebbe per dover essere adempiuto con le modalità regolamentari previste solo dall'iscritto all'albo che svolga la propria attività in modo marginale, episodico e discontinuo" (CNF, sentenza del 1° dicembre 2017, n. 204);
  • "L'obbligo formativo non può essere surrogato dallo svolgimento dell'attività autoformativa dell'avvocato né attenuato dagli impegni professionali svolti dall'avvocato stesso" (Cassazione a SSUU n. 9547/2021).

Ciò in quanto per espressa previsione di legge l'avvocato deve curare costantemente la propria preparazione professionale accrescendo le proprie competenze con particolare riferimento ai settori di specializzazione e a quelli di attività prevalente (art.15) al fine di «assicurare la qualità delle prestazioni professionali e di contribuire al migliore esercizio della professione nell'interesse dei clienti e dell'amministrazione della giustizia» (art.11 legge n. 247/2012) .

Ne consegue che l'intensa attività lavorativa non può scriminare l'inadempimento al dovere di formazione e aggiornamento professionale, ma l'unica scriminante per la violazione dell'obbligo formativo è lo stato di necessità. A questo proposito il Consiglio ha affermato che "Lo stato di necessità conseguente a grave malattia, propria o di un proprio familiare, esclude rilevanza disciplinare alla violazione dell'obbligo di formazione continua, di cui pertanto costituisce scriminante pur in mancanza di una previa richiesta o concessione di esonero ex art. 15 Reg. CNF n. 6/2014" (CNF, sentenza del 3 maggio 2016, n. 117).

 Quanto all'entità della sanzione, il Consiglio ha affermato che la corretta dosimetria della sanzione disciplinare da applicare deve essere valutata in considerazione della gravità e della natura del comportamento deontologicamente non corretto tenuto dall'avvocato (cfr. Cass. SS.UU. 13791/12).

Nel caso di specie il ricorrente ha ammesso la propria responsabilità in relazione alla violazione dell'obbligo di formazione continua, contestando solo l'entità della sanzione. Ebbene a parere del Consiglio, "L'ammissione della propria responsabilità disciplinare da parte del professionista incolpato in sede di procedimento dinanzi al Consiglio territoriale non può non essere valorizzata nell'ambito del complessivo giudizio relativo alla personalità dell'incolpato ai fini della determinazione della giusta sanzione, attestando la consapevolezza della contrarietà della condotta contestata alle regole del corretto agire professionale e di conseguente sanzionabilità dello stessa, nella prospettiva di non ripetere siffatti comportamenti" (Consiglio Nazionale Forense , sentenza n. 28 del 7 marzo 2023).

Alla luce di queste considerazioni normative e giurisprudenziali il Consiglio Nazionale Forense ha accolto il ricorso e per l'effetto ha applicato la sanzione dell'avvertimento.




 

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