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Violenza sessuale, Cassazione: irrilevante il comportamento assunto dalla vittima dopo la violenza

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Con la sentenza n. 29325 dello scorso 22 ottobre, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per violenza sessuale a carico di un uomo che aveva costretto sua moglie a subire un rapporto sessuale, disattendendo le difese del marito secondo cui l'atto sessuale non aveva turbato la donna, che subito dopo il rapporto aveva navigato sul web.

Si è difatti ribadita l'irrilevanza del comportamento assunto dalla persona offesa dopo la violenza, posto che l'eventuale navigazione della vittima su internet, trattandosi di un post factum, nulla avrebbe aggiunto o escluso alla violenza sessuale subita poco prima per mano del marito.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo accusato del delitto di violenza sessuale in relazione ad un episodio occorso all'interno delle mura domestiche in danno della convivente.

In particolare, l'uomo, con l'intento di porre in atto una vendetta ai danni della donna, che il giorno prima aveva attivato il servizio di pronto intervento per le aggressioni fisiche ricevute, la costringeva a compiere un atto sessuale utilizzando un coltello e la invitava a fumare uno spinello così da alterare le condizioni di lucidità della vittima.

Per tali fatti, sia il Tribunale che la Corte d'appello di Venezia riconoscevano l'uomo colpevole del delitto contestato e lo condannavano alla pena di cinque anni e 10 giorni di reclusione.

Ricorrendo in Cassazione, l'imputato eccepiva violazione di legge e il vizio di motivazione, deducendo come la Corte non avesse considerato tutti i documenti prodotti durante il dibattimento, volti ad escludere la gravità del grado di coartazione della vittima, così come della compressione della sua libertà sessuale e del danno arrecatole. 

 In particolare, l'imputato si doleva della mancata valorizzazione della circostanza per cui la

persona offesa aveva navigato sul web per circa mezz'ora dopo la riferita violenza sessuale, a dimostrazione di come l'atto sessuale non l'avesse turbata.

A sostegno di come quell'episodio doveva ritenersi irrilevante, l'imputato evidenziava, altresì, le dichiarazioni rese da costei – successivamente ai fatti incriminati – circa la sua tranquillità nell'affidare all'uomo la loro bambina.

Da ultimo l'uomo sottolineava la scelta della persona offesa di presentare querela solo dopo aver conferito con il suo avvocato, che le aveva fatto capire il disvalore dell'episodio sessuale di cui era stata vittima: a tal riguardo la difesa dell'uomo sosteneva come solo la percezione del soggetto passivo poteva configurare il delitto di violenza sessuale, non necessitando di alcuna spiegazione esterna da parte di un legale; proprio la presenza di siffatte spiegazioni inducevano a ritenere come l'episodio contestato, non essendo stato autonomamente percepito dalla persona offesa, non poteva considerarsi grave.

La Cassazione non condivide le doglianze formulate.

Gli Ermellini rilevano come le censure mosse dal ricorrente siano generiche e tralascino integralmente il dirimente rilievo svolto dalla Corte distrettuale in ordine all'irrilevanza del comportamento assunto dalla vittima dopo l'estrinsecazione del reato.

Più nel dettaglio, i giudici evidenziano come la Corte lagunare, senza lacune o manifeste illogicità, abbia ampiamente e congruamente motivato sull'irrilevanza del comportamento assunto dalla persona offesa dopo la violenza, posto che l'eventuale navigazione della vittima su internet, trattandosi di un post factum, nulla avrebbe aggiunto o escluso alla violenza sessuale subita poco prima per mano del marito: la condizione di "serenità" – postulata, con allegazione meramente fattuale e indeterminata, dalla difesa – diviene, quindi, del tutto irrilevante ai fini del giudizio di colpevolezza dell'imputato.

 Gli Ermellini reputano generiche anche le ulteriori doglianze dell'uomo relative alle condotte tenute successivamente dalla vittima, asseritamente incompatibili con la subita aggressione sessuale, reputando del tutto inconferente – e comunque di mera portata fattuale, incensurabile in sede di legittimità – la circostanza per cui la donna non aveva timori nel lasciare la figlia con il padre.

Circa le delucidazioni tecniche fornite dall'avvocato, gli Ermellini evidenziano come le stesse non erano servite alla vittima per comprendere quanto accaduto, già chiaramente percepito tanto da averne fornito lei stessa un puntuale resoconto al professionista, bensì per evidenziare alla propria assistita la rilevanza penale della condotta ancorché consumata all'interno di una relazione para-coniugale e permetterle, pertanto, di acquisire la consapevolezza del disvalore attribuito dall'ordinamento alla condotta del convivente posta in essere ai suoi danni.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

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