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Da licenziare il medico che svolge incarichi esterni non autorizzati

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 I giudici della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20880/2018 del 21 agosto 2018 hanno affermato con assoluta chiarezza che il dipendente pubblico, con un rapporto a tempo indeterminato, senza la preventiva autorizzazione del proprio datore di lavoro, non può svolgere altri incarichi esterni.

I giudici di legittimità hanno sostanzialmente stabilito che il pubblico dipendente è tenuto ad attenersi alla disposizione dettata dall'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 che stabilisce il regime di incompatibilità ed il divieto di cumulo ai sensi del DPR n. 3 /1957. In conseguenza a tutto ciò hanno dichiarato legittimo il licenziamento a cui era andato incontro un dirigente medico che aveva contravvenuto al divieto richiamato.

I Fatti

La Corte d'Appello di Firenzerespingevail reclamo ex art.1, comma 58, della legge n. 92/2012 proposto da un medicoche aveva subito il licenziamento, avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che, all'esito del giudizio di opposizione aveva confermato l'ordinanza emessa nella fase sommaria e rigettato il ricorso volto ad ottenere l'annullamento del licenziamento intimato dall'Ente Strumentale alla Croce Rossa Italiana e la condanna del resistente alla reintegrazione nelle mansioni di dirigente medico ed al pagamento della indennità risarcitoria prevista dall'art. 18, comma IV, della legge n. 300/1970.

Il giudice di appello faceva rilevare che la sanzione disciplinare del licenziamento era stata inflitta all'appellante perché negli anni 2011 e 2012 aveva svolto, senza preventiva autorizzazione del datore di lavoro, l'incarico di medico penitenziario, percependo compensi superiori per ciascun anno a € 100.000,00.

Inoltre ha ritenuto la sanzione del licenziamento proporzionata all'addebito contestato facendo rilevare che le fattispecie tipizzate dall'art. 55 quater del richiamato decreto legislativo non costituiscono un numero chiuso, in quanto lo stesso legislatore ha mantenuto ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e ha fatto salve le ulteriori ipotesi previste dai contratti collettivi.

Avverso la decisione della Corte di Appello, quale giudice del reclamo proponeva ricorso per cassazione il medico licenziato sulla base di quattro motivi, 

 Motivazione

Il ricorso è stato ritenuto infondato e pertanto rigettato.                                                                         

Con Il primo motivo del ricorso principale veniva denunciata, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della legge n. 740/1970 nella parte in cui prevede che                 «a tutti i medici che svolgono a qualsiasi titolo attività nell'ambito degli istituti penitenziari non         sono applicabili le incompatibilità e le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il Servizio sanitario nazionale».

Con il secondo motivo veniva denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 7 L. n. 300/1970, 1175 e 1375 cod. civ., addebitando alla sentenza impugnata di avere erroneamente respinto l'eccezione di tardività della contestazione disciplinare «e/o di intervenuta abdicazione da parte di CRI della potestà disciplinare».

Col terzo motivo si denunciava, sotto altro profilo, la violazione delle norme di legge sopra richiamate nonché degli artt. 1455 e 2106 cod. civ. per la mancata dichiarazione da parte del giudice del reclamo della non proporzionalità della sanzione disciplinare applicata all'addebito contestato .

Con la quarta censura il ricorrente si denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 L. n. 604/1966, 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. rilevando che il datore di lavoro non aveva assolto all'onere della prova sullo stesso gravante, al fine di dimostrare l'idoneità della condotta a la idoneità della stessa a ledere il vincolo fiduciario .

Secondo i giudici di legittimità Il primo motivo del ricorrente principale è infondato in quanto la Corte ha da tempo ha affermato che le prestazioni rese dai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e pena, non integrano un rapporto di pubblico impiego, bensì una prestazione d'opera professionale caratterizzata dagli elementi tipici della  parasubordinazione (Cass. S.U. 12618/1998 e Cass. S.U. n. 7901/2003), che trova la propria fonte normativa nel complesso delle disposizioni contenute nella legge n. 740/1970, le quali si pongono come norme speciali ( Cass. n. 3782/2012 e Cass. n. 10189/2017).

 Tale disposizione non può incidere sulla disciplina dei rapporti diversi da quello presi in considerazione.Pertanto tale disciplina speciale , diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non può essere richiamata come fonte regolatrice del rapporto che il medico licenziato aveva instaurato con la pubblica amministrazione per giustificare un suo presunto ed infondato diritto a cumulare l'incarico con qualsiasi altra attività. 

Da ciò discende " che il medico legato ad una pubblica amministrazione da rapporto di impiego a tempo indeterminato, in relazione a detto rapporto ed agli obblighi che dallo stesso scaturiscono, è tenuto al rispetto dell'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, che richiama il regime delle incompatibilità ed il divieto di cumulo di cui al d.P.R. n. 3/1957 ". 

Il Collegio inoltre ha richiamato l'orientamento già espresso con la sentenza n. 8722 del 4.4.2017 uniformandovisi, nella quale veniva presa in esame la violazione del divieto di cumulo di impieghi.         Con tale pronuncia si è evidenziato che «nell'impiego pubblico contrattualizzato, il principio  dell'obbligatorietà dell'azione disciplinare esclude che l'inerzia del datore di lavoro possa far sorgere        un legittimo affidamento nella liceità della condotta, ove la stessa contrasti con precetti imposti dalla legge, dal codice di comportamento o dalla contrattazione collettiva». I doveri posti a carico del dipendente pubblico dalla legge, dal codice di comportamento, dalla contrattazione collettiva tengono conto della particolare natura del rapporto che pone l'impiegato al «servizio della Nazione» e, quindi, lo impegna a ispirare la propria condotta ai principi efficacemente riassunti nell'ultima versione dell' art. 54 del d.lgs. n. 165 del 2001 con il richiamo ai « doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico ».

Ugualmente infondati sono stati dichiarati gli altri motivi del ricorso per i quali si rinvia alla allegata sentenza. Per tali motivi il ricorso è stato rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Si allega sentenza

 

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