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Un risveglio da incubo

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 Scendendo le scale, cominciò ad avvertire la solita fitta allo stomaco, quella che provava sempre davanti alla porta dell'appartamento di Federica.

Arrivato sul pianerottolo, esitò per qualche istante.

La porta era socchiusa e gli sembrò di udire una specie di lamento provenire dall'interno.

Il suo cuore accelerò fino ad esplodere.

Possibile che quel bastardo di Emilio fosse in casa e che quella puttana di Federica si fosse dimenticata di chiudere la porta nella fretta di portarselo a letto? Erano gemiti di piacere quelli che sentiva in quel momento provenire dall'appartamento?

Sapeva che non sarebbe mai dovuto entrare, che quello che avrebbe potuto vedere sarebbe stato per lui fonte di enorme dolore. Eppure, una curiosità morbosa lo fece procedere quasi in stato di trance, indipendentemente dalla sua volontà.

Spinse la porta d'ingresso, vecchia e rovinata, ed entrò.

La prima cosa che sentì fu il pigolio della sveglia che suonava.

Le luci del soggiorno erano accese ma non sembrava vi fosse nessuno.

Superato il piccolo ingresso, entrò in soggiorno e vide Federica riversa a terra, nuda e in un lago di sangue.

Lo pervase all'istante una sensazione di orrore, di disgusto.

L'istinto stava gridandogli disperatamente di fuggire.

Qualcosa però glielo impediva.

 Era paralizzato. Non sapeva cosa fare.

Troppe domande: chi aveva colpito Federica? Per quale motivo? Perché Federica era nuda? Era stato forse Emilio a ridurla in quello stato?

Ciò che più lo terrorizzava, però, era la consapevolezza che, in quella situazione, tutti avrebbero sospettato di lui.

Si era trovato al posto sbagliato, al momento sbagliato e con la persona sbagliata.

Si avvicinò alla ragazza, facendo attenzione a non calpestare il sangue, e le toccò con delicatezza il volto.

Federica si lamentava flebilmente, a occhi chiusi.

Aveva un taglio che le solcava il volto, prima così bello e perfetto.

Pronunciò il suo nome un paio di volte, a bassa voce, timoroso che qualcuno potesse udirlo.

 La giovane non rispose, limitandosi a muovere le labbra, forse nel tentativo di dire qualcosa. Ma risultarono parole incomprensibili. Poi più nulla.

Federica all'improvviso sbarrò gli occhi e smise di lamentarsi.

Marco si alzò di scatto, consapevole che la sua ex ragazza era ormai morta.

Avrebbe dovuto chiamare i soccorsi, ma sapeva che sarebbero stati inutili. Un tentativo del genere gli sarebbe servito soltanto a mettersi nei guai. Ancor più di quanto già non fosse.

Per gli stessi motivi, scartò all'istante l'idea di chiamare la polizia.

Troppe cose da spiegare. Troppo difficili da spiegare.

Sapeva d'essere innocente, ma chi gli avrebbe creduto?

Si accorse con un certo sollievo di avere ancora indosso i guanti di lana, che aveva acquistato una settimana prima in una bancarella per pochi euro. Soldi ben spesi.

Percepì un'immediata repulsione verso se stesso per aver avuto quel pensiero.

Si sentiva sporco, sbagliato, adesso che aveva capito di non aver mai amato veramente Federica, quanto invece l'idea di possedere una ragazza come lei.

Si rendeva conto di come fosse spregevole non provare dolore per la sorte di quella poveretta, bensì paura per le possibili conseguenze della sua morte.

In quel momento, tuttavia, non gli interessava più di tanto.

Sperò che fosse possibile uscire indenne da quella situazione.

Tornò sui propri passi, facendo attenzione a dove metteva i piedi. Sudava copiosamente, intabarrato nel giaccone che non aveva avuto tempo di slacciare.

Arrivato alla porta dell'appartamento, che aveva lasciato socchiusa, si fermò per qualche istante, trattenendo il respiro, attento a non fare il minimo rumore.

Nascosto dietro lo stipite, si mise in ascolto. Silenzio.

Via libera. Non sentì nulla e, con il cuore in gola, uscì sul pianerottolo.

Chiudendosi la porta alle spalle, pensò di avercela fatta.

Tirò un sospiro di sollievo.

In quel preciso momento, la porta dell'appartamento di fronte si spalancò.

 

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