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Stranieri: la rilevanza dell’autocertificazione e dei precedenti penali del richiedente la cittadinanza.

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I principi di massima.

La sola condanna penale, senza il minimo apprezzamento in concreto del fatto, non può rappresentare, di per sé, automatico fatto ostativo alla concessione della cittadinanza.

Nella disciplina dettata dall'art. 9, co. 1, lett. f) legge n. 91/92, la dichiarazione del richiedente riguardante i precedenti penali, non comporta, per espressa previsione del legislatore,l'acquisizione del beneficio, ma ha l'esclusivo scopo di portare a conoscenza dell'amministrazione una serie di elementi di valutazione riguardanti la situazione personale ed economica del richiedente rilevanti ai fini di apprezzarne l'avvenuta integrazione in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale, e l'assenza di cause ostative collegate a ragioni di sicurezza della Repubblica e all'ordine Pubblico. Ne consegue che, in caso di autocertificazione non veritiera, può assumere rilevanza l'elemento soggettivo del richiedente e la distinzione tra dichiarazione "mendace", "erronea", "omissiva" o "reticente" da accertarsi in concreto, caso per caso.

Cons. St., sez. 1, 19 ottobre 2022, n. 1709.

Il caso.

La sezione consultiva del Consiglio di Stato, chiamata ad esprimere il proprio parere sul ricorso straordinario al presidente della Repubblica avverso un provvedimento di rigetto della concessione della cittadinanza italiana, ha definito in maniera precisa l'ambito di rilevanza dei precedenti penali ed il valore che assume l'autocertificazione dell'interessato ai fini della concessione del provvedimento.

Nel caso sottoposto alla valutazione del Consiglio di Stato, l'Ufficio Territoriale del Governo aveva espresso parere sfavorevole al riconoscimento della cittadinanza, perché il richiedente aveva riportato (oltre dieci anni addietro alla richiesta) una condanna per l'importazione di (sole) 5 stecche di sigarette dal proprio paese d'origine - dunque, per una quantità minima inferiore ai 10 kg per cui oggi opera la depenalizzazione di cui al D.Lgs. n. 8 del 2016 - ed inoltre perché lo stesso richiedente aveva omesso di autocertificare la propria posizione giudiziaria all'atto di presentazione dell'istanza.

Il Consiglio di Stato, pur ribadendo il carattere altamente discrezionale del provvedimento di concessione della cittadinanza - traducentesi in un apprezzamento di opportunità sulla base di un complesso di circostanze che riguardano la personalità e la condotta di vita del naturalizzando, atte a dimostrare la sua stabile integrazione e la sua piena adesione ai valori fondamentali del nostro stato - ha precisato che, proprio per il particolare rigore che caratterizza la concessione di cittadinanza, grava sull'amministrazione l'obbligo di una completa rappresentazione della realtà che tenga conto della tipologia di comportamento ritenuto ostativo, della natura penale del fatto, della gravità dello stesso, della circostanza che lo stesso sia stato commesso a distanza di tempo dal momento in cui l'istanza viene presentata.

Sulla valutazione dell'opportunità o meno di riconoscere la cittadinanza al cittadino straniero, sicuramente entrano in gioco le condotte penalmente rilevanti che, ha ricordato la sezione consultiva, rilevano anche se depenalizzate oppure oggetto di archiviazione, tuttavia, la sola condanna penale, senza il minimo apprezzamento in concreto del fatto, non può rappresentare, di per sé, automatico fatto ostativo alla concessione della cittadinanza.

Alla luce di tali considerazioni, il Consiglio di Stato ha ritenuto il provvedimento di diniego irragionevole perché non motivato in riferimento ad una serie di circostanze concrete del fatto, ossia la tipologia di comportamento, le modalità e caratteristiche del fatto penalmente perseguito, apprezzato in concreto, la concessione al condannato delle attenuanti generiche, l'unicità dell'episodio peraltro commesso a distanza di circa undici anni dalla proposizione dell'istanza, la dichiarazione di estinzione del reato nel 2019.

Quanto al valore dell'autocertificazione ai fini della concessione della cittadinanza, il Consiglio di Stato ha rilevato che, nella disciplina dettata dall'art. 9, co. 1, lett. f) legge n. 91/92, la dichiarazione del richiedente riguardante i precedenti penali non comporta, per espressa previsione del legislatore,l'acquisizione del beneficio, ma ha l'esclusivo scopo di portare a conoscenza dell'amministrazione una serie di elementi di valutazione riguardanti la situazione personale ed economica del richiedente rilevanti ai fini di apprezzarne l'avvenuta integrazione in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale, e l'assenza di cause ostative collegate a ragioni di sicurezza della Repubblica e all'ordine Pubblico.

Ne consegue che, in caso di autocertificazione non veritiera, può assumere rilevanza l'elemento soggettivo del richiedente e la distinzione tra dichiarazione "mendace", "erronea", "omissiva" o "reticente" da accertarsi in concreto, caso per caso.

Tale distinzione, secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato, non risiede nell'oggetto della dichiarazione, ma nella condotta del dichiarante: mentre la falsa dichiarazione è consapevolmente rivolta a fornire una rappresentazione non veritiera ed è dunque di natura esclusivamente dolosa, la dichiarazione colposamente omissiva o semplicemente erronea è priva del carattere offensivo della fede pubblica e non comporta la decadenza dai benefici richiesti.

Nel caso di specie, la sezione consultiva ha ritenuto che la dichiarazione resa dal ricorrente (che aveva omesso di indicare i propri precedenti penali) nopresentasse i caratteri della dichiarazione mendace .

Il Consiglio di Stato, ha dunque espresso parere favorevole all'accoglimento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

 

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