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I creditori del legittimario pretermesso possono surrogarsi al proprio debitore rimasto inerte, esercitando l'azione di riduzione a questi spettante. ll fruttuoso esercizio dell'azione non comporta l'acquisto della qualifica di erede da parte del legittimario né tantomeno del creditore, ma consente a quest'ultimo di soddisfare le proprie ragioni rendendo inefficaci le disposizioni lesive della quota di riserva, pregiudizievoli anche per il terzo.
Questo è quanto statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 16623 del 20 giugno 2019 opera un delicato bilanciamento tra la libertà del debitore – delato di autodeterminarsi e l'interesse dei suoi creditori a non veder vanificate le proprie ragioni. La pronuncia trae origine da un ricorso per ingiunzione promosso da una banca nei confronti di una società semplice nonché, in solido, dei soci illimitatamente responsabili.
In difetto di opposizione da parte degli ingiunti il decreto diveniva definitivo, senza che i debitori avessero peraltro mai adempiuto all'obbligazione. Volendo promuovere l'azione esecutiva la banca ricostruiva le vicende successorie inerenti gli ingiunti, rilevando che entrambi erano legittimari in rappresentazione rispetto all'eredità della nonna paterna e che quest'ultima li aveva totalmente pretermessi, istituendo unica erede la figlia (zia dei debitori), con testamento olografo pubblicato e mai impugnato.
La banca agiva dunque giudizialmente, chiedendo al Tribunale di Cremona di accertare che i debitori erano legittimari della defunta nonna e conseguentemente di dichiarare nullo o inefficace il testamento olografo di quest'ultima nella parte in cui risultava lesa la quota di riserva spettante agli stessi.
Per l'effetto chiedeva altresì che venisse determinato il valore dell'asse ereditario e che una quota dello stesso, pari ad 1/3, venisse assegnata ai legittimari preteriti, con condanna della zia alla restituzione della quota spettante ai nipoti, previo pagamento delle ragioni di credito della banca.
Il Tribunale di Cremona rigettava la domanda, rilevando che l'istituto di credito non aveva titolo per surrogarsi ai legittimari nell'esercizio dell'azione di riduzione, non essendo annoverabile tra gli "aventi causa dei legittimari" ai sensi dell'art. 557 c.c.
La pronuncia di primo grado veniva confermata anche dalla Corte d'Appello di Brescia, che riteneva l'azione di riduzione intrasmissibile agli eredi e dunque incedibile, escludendone pertanto l'esercizio in via surrogatoria da parte dei creditori personali dei legittimari pretermessi, anche qualora questi ultimi non avessero mai rinunciato all'eredità.
La banca proponeva quindi ricorso per cassazione. La questione posta al vaglio della Corte di Cassazione concerne dunque l'ammissibilità o meno dell'esercizio, in via surrogatoria, dell'azione di riduzione da parte dei creditori dei legittimari pretermessi quando questi ultimi siano rimasti inerti. La Corte osserva che nell'individuare i soggetti che possono esperire l'azione di riduzione di donazioni o disposizioni lesive della quota di legittima, l'art. 557 c.c. circoscrive tale facoltà ai soli legittimari o ai loro eredi ed aventi causa. Trattandosi di azione a contenuto patrimoniale è pacifico che questa sia cedibile e trasmissibile agli eredi, tuttavia è discusso quali soggetti possano effettivamente ricomprendersi nell'alveo degli "aventi causa" ed in particolare se sia possibile includervi anche i creditori personali dei legittimari pretermessi. La soluzione al quesito implica il necessario bilanciamento tra due contrapposti interessi, parimenti meritevoli di tutela: da un lato l'autonomia negoziale del testatore e la libertà del chiamato di accettare o meno l'eredità, dall'altro la preservazione della garanzia patrimoniale dei creditori dei legittimari pretermessi.
Il Collegio osserva che, malgrado la dottrina prevalente sia favorevole a ricomprendere i creditori dei legittimari pretermessi tra gli "aventi causa", legittimandoli dunque all'esercizio in surrogatoria dell'azione di riduzione, il riconoscimento di tale legittimazione richiede una più ampia considerazione delle altre disposizioni codicistiche sistematicamente collegate all'art. 557 c.c., in particolare degli artt. 524 e 2900 c.c.
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Sono un’appassionata di diritto delle nuove tecnologie e lo faccio da Avvocatessa e giornalista, studiando, applicando e raccontando le regole e le politiche dell’innovazione in ambito nazionale ed europeo.