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Stalking e atti persecutori, condannata l’ex amante al risarcimento dei danni.

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Il reato di stalking rientra nella categoria dei reati abituali e la sua configurazione dipende dall'esistenza di condotte di minaccia o molestia, anche solo due, sufficienti a determinare la reiterazione richiesta dalla norma per configurarsi la condotta criminosa.

Il reato si verifica, secondo l'art. 612-bis c.p., con la ripetizione di condotte persecutorie, idonee, alternativamente, a cagionare nella vittima un "perdurante e grave stato di ansia o di paura", a ingenerare un "fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva" ovvero a costringerla ad alterare le "proprie abitudini di vita".

I casi di condotte che possono ingenerare il reato sono molti ed alle volte bastano anche comportamenti per i quali non occorre la presenza fisica dello stalker.

Si pensi all'invio di sms, messaggi, e-mail, la pubblicazione di post o video, il danneggiamento di beni della vittima, fare ripetute telefonate non gradite.

Per configurare il reato occorre l'elemento soggettivo e cioè il dolo generico che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia descritte nella norma con la consapevolezza della loro idoneità a produrre taluno degli eventi indicati nella stessa.

Basta pertanto la consapevolezza e cioè la coscienza e volontà da parte del reo, indipendentemente dalla rappresentazione di quello che sarà il risultato di tali condotte , frutto di tutti gli episodi posti in essere e che man mano svilupperanno il dolo a seconda della frequenza degli episodi e del loro nesso.

Oltre alla reiterazione delle condotte per esserci stalking si dovrà verificare uno degli eventi previsti dalla norma.

Per quanto concerne il perdurante e grave stato d'ansia o di paura sofferto dalla persona offesa, per la giurisprudenza, ai fini della sussistenza del reato de quo, non occorre l'accertamento di uno stato patologico, essendo sufficiente che gli atti persecutori abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima.

Relativamente al fondato timore per l'incolumità, esso consiste in ogni condotta, minacciosa o aggressiva, anche rivolta verso cose e non verso la persona. 

 Il riferimento all'alterazione delle abitudini di vita si intende come quel complesso di comportamenti che una persona solitamente mantiene nell'ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretto a mutare a seguito dell'intrusione rappresentata dall'attività persecutoria.

Tale effetto del reato deve risultare ed essere rilevabile e non restare confinato nella percezione della sola vittima del reato.

A questo punto esaminiamo due recenti sentenze emesse dalla Corte di Cassazione con riferimento al reato di stalking e di atti persecutori.

In un primo caso, si afferma nuovamente il principio per cui anche l'invio continuo di sms, lettere o il presentarsi a casa senza invito tenendo un atteggiamento minaccioso e intimidatorio e così ingenerando ansia e paura non costituiscono una modalità di corteggiamento, così come voleva fare intendere la persona che aveva attuato tale modalità, ma, nel caso in questione il reato di stalking.

La Cassazione con la decisione n. 26182/2022 ha così condannato al risarcimento di 18.000 euro in favore della ex, vittima di stalking, decisione emessa in primo grado e poi confermata in sede di appello.

In tale caso la vittima era stata costretta a cambiare domicilio e soffriva di attacchi d'ansia. L'imputato aveva reiteratamente violato il domicilio e non aveva rispettato il decreto emesso dal tribunale.

Nel ricorrere in Cassazione l'uomo contesta la responsabilità penale e non ravvisa nella sua condotta gli elementi tipici del delitto di atti persecutori affermando che i propri comportamenti dovevano essere inquadrati piuttosto come un "serrato corteggiamento amoroso al solo fine di riallacciare il rapporto sentimentale senza alcuna volontarietà della fattispecie incriminatrice".

Nel dichiarare inammissibile il ricorso, la Cassazione rileva che la persona offesa aveva deciso di separarsi proprio a causa delle continua progressione delle condotte persecutorie messe in atto dal marito nei suoi confronti e che le provocavano sentimenti di ansia e paura, tanto che la stessa, ad un certo punto, aveva abbandonato la propria abitazione per trovare un altro luogo nascosto.

Per la Cassazione, il criterio distintivo tra il reato di atti persecutorie quello di cui all'art. 660 c.p., (il cd. serrato corteggiamento indicato), consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che in tale circostanza avevano portato la vittima ad un perdurante stato d'ansia ed ad una modifica delle proprie abitudini di vita. 

 L'art. 660 c.p. si ha invece nel caso in cui le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato.

La decisione è chiara nel sostenere che la ex è stata vittima di una vera e propria persecuzione, dovuta anche al fatto che il marito non desiste dal proprio comportamento.

L'elemento soggettivo è rappresentato dal dolo generico, che si traduce nella volontà di porre in essere più condotte minacciose e molestie, nella consapevolezza della loro capacità di ingenerare ansia, paura o costringere la vittima a cambiare le sue abitudini di vita, senza che rilevi la preordinazione ai fini dell'integrazione del reato.

Nel caso di specie il dolo generico con cui ha agito il ricorrente appare evidente dal tenore dei messaggi ripetitivi e recriminatori inviati alla vittima, che rispondeva chiedendo di essere lasciata in pace.

Altro caso esaminato dalla Cassazione quello della condotta questa volta ad opera di una ex amante, che con il proprio comportamento perseguitava e provocava ansia all'uomo con cui era terminata la relazione.

Nel caso in questione la Cassazione interviene e conferma la decisione di merito pur trattandosi non di stalking ma, comunque, di una condotta da parte della donna tale da ingenerare uno stato di ansia che doveva essere risarcito.

La sentenza è la n. 40298/2022 che conferma la decisione della Corte d'Appello.

La donna era stata assolta in primo grado dal reato di stalking nei confronti dell'uomo con il quale aveva avuto in passato una relazione poi conosciuta dalla moglie e dal figlio dell'uomo.

La donna perseguitava l'ex amante, provocando uno stato d'ansia testimoniato poi in sede di processo dalla moglie, dal figlio e dalla fidanzata di quest'ultimo.

L'imputata viene condannata a risarcire i danni arrecati a causa della condotta, decisamente assillante, decisione che la donna contesta ricorrendo in Cassazione.

Il ricorso della donna però viene dichiarato inammissibile.

La condotta attribuita alla stessa è stata confermata dalle dichiarazioni attendibili rese dai testimoni, che affermavano che lo stato d'ansia che d'un tratto si respirava in famiglia era dovuto non alla scoperta della relazione extraconiugale che l'uomo aveva avuto, ma, alla condotta assillante della ex amante che perseguitava l'uomo aumentando il clima di tensione che si respirava in famiglia dopo la scoperta del tradimento.

Confermata quindi la condanna al risarcimento dei danni.

 

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