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Spese giudiziali: quando la parte può ritenersi soccombente?

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 Con l'ordinanza n. 18047 dello scorso 6 giugno, la II sezione civile della Corte di Cassazione – pronunciandosi in materia di spese giudiziali – ha chiarito in quali casi una parte possa ritenersi soccombente.

Si è difatti specificato che "in materia di spese processuali, l'identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, con l'unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'instaurazione di una comunione ereditaria immobiliare fra alcuni fratelli; dopo un ventennio di contrasti, le parti sottoscrivevano una convenzione transattiva divisionale, affidando, di comune accordo, ad un ingegnere lo svolgimento delle conseguenti attività di frazionamento e localizzazione dei confini.

Concluse le predette operazioni peritali, una coerede decideva di non firmare il tipo di frazionamento predisposto dal tecnico, sicché gli altri eredi la citavano in giudizio chiedendo che, dichiarata l'autenticità delle firme apposte al contratto di transazione, ne fosse ordinata l'esecuzione.

 Il Tribunale di Brescia, in accoglimento della domanda, disponeva la trascrizione del contratto, con condanna della convenuta a rifondere le spese del giudizio e a sopportare il costo della ctu nella misura del 50%, ponendo l'altro 50% a carico degli attori.

Pronunciandosi sull'appello proposto dall'originaria convenuta, la Corte d'appello di Brescia, rigettava l'impugnazione e condannava l'appellante alle spese del grado.

La coerede dissidente proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, deducendo falsa applicazione degli articoli 91 e 112 c.p.c. e dell'art. 4 del D.M. 55/2014 in relazione al capo del regolamento delle spese.

In particolare, la ricorrente si doleva per non aver la Corte d'appello giudicato la stessa soccombente, nonostante non si fosse opposta allo scioglimento della comunione.

La Cassazione non condivide le doglianze sollevate dalla ricorrente.

La Corte ricorda che, in materia di spese processuali, l'identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, con l'unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.

 Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione evidenzia la correttezza della statuizione sulle spese operata dalla decisione impugnata.

Secondo gli Ermellini, infatti, non può mettersi in dubbio la qualità di soccombente della ricorrente, essendo del tutto irrilevante la sua manifestata volontà di rispettare l'accordo, poiché proprio sull'applicazione di quell'accordo essa aveva dissentito, così costringendo gli altri comunisti a citarla in giudizio; di conseguenza, correttamente il Giudice ha posto a suo carico le spese in applicazione del principio di causalità, avendo la donna beneficiato in primo grado della compensazione della metà delle spese di ctu, essendo stata posta l'altra metà a carico degli attori.

Alla luce di tanto, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti.

 

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