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Somma maggiore o minore ritenuta di giustizia. Mini guida della Cassa Forense sul compenso dovuto all’avvocato.

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La Cassa Forense è intervenuta di recente precisando gli orientamenti della Cassazione allorquando l'avvocato con riferimento al compenso, utilizza l'espressione in caso di condanna " alla maggiore o minore somma che si riterrà di giustizia".

Spesso tale espressione viene inserita nell'atto introduttivo quando si chiede la condanna al pagamento di una somma, nelle cause di risarcimento dei danni o quando si presume che rispetto alla somma ipotizzata ci si possa discostare.

Ma allora, quale le conseguenze dell'utilizzo di tale espressione?

E' possibile fare riferimento a tre filoni giurisprudenziali e la Cassa Forense li individua in una piccola guida.

 Un primo filone giurisprudenziale ritiene la formula una mera clausola di stile che non modifica in alcun modo il valore della causa che va determinato in base alla somma specificata nella domanda.

Un secondo orientamento della Corte, richiamato nella recente sentenza del 6 aprile 2022, n. 11213 afferma invece che, anche quando è stata richiesta una somma specifica, se nella domanda è aggiunta la formula "maggiore o minor somma ritenuta di giustizia" il valore della causa debba essere considerato sempre indeterminabile.

Questo orientamento applica l'art. 1367 c.c. in tema di interpretazione dei contratti secondo cui in caso di dubbio il contratto, come anche le singole clausole devono essere interpretate nel senso in cui possono avere un qualche effetto anziché quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.

Allo stesso modo anche la formula "di quella maggiore o minore somma che si riterrà di giustizia" non può essere considerata una mera clausola di stile, quanto piuttosto come una sorta di riserva per il conseguimento dell'eventuale maggiore somma dovuta.

 Un orientamento intermedio tra i due precedenti è emerso invece con la sentenza del 20 luglio 2018 la n. 19455, relativa allo specifico caso in cui l'attore aveva chiesto nell'atto introduttivo la condanna ad una somma determinata o alla maggiore o minor somma ritenuta di giustizia.

La  CTU aveva poi quantificato la somma dovuta in un importo superiore a quello domandato dall'attore il quale nel precisare le conclusioni si era limitato a richiamare l'atto introduttivo, facendo affidamento sulla nota formula forense.

La Corte territoriale aveva pronunciato condanna per la somma superiore risultante dalla CTU e la parte soccombente si era rivolta alla Cassazione lamentando il vizio di ultrapetizione.

Accogliendo il motivo di ricorso, stante l' assenza di qualsiasi iniziativa dell'attore volta ad adeguare il quantum della domanda all'esito dei più favorevoli risultati della CTU, la Suprema Corte ha precisato che quando l'ammontare dell'importo preteso sia risultato maggiore di quello originariamente chiesto e la parte nelle conclusioni definitive si sia limitata a richiamare quelle ordinarie, contenenti la formula "somma maggiore o minore ritenuta dovuta" o altra equivalente, l'omessa indicazione del maggior importo accertato evidenzia la natura di stile della formula usata in origine non ravvisabile, a motivo della ragionevole incertezza della somma da liquidarsi.

 

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