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Scuola e risarcimento danni alunna per frattura al polso.

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 L'insegnante non è colpevole se durante la lezione un'alunna cade a terra per cause fortuite non prevedibili. Lo ha stabilito la III Sezione Civile della Corte di Cassazione, nell'Ordinanza 04 settembre 2023, n. 25841, confermando l'assenza di responsabilità degli operatori scolastici già riconosciuta dal giudice d'appello.


I genitori di un'alunna convennero innanzi al Giudice di Pace, l'insegnante e il dirigente della scuola primaria frequentata dalla figlia, in quanto durante una lezione di lingua tedesca, era stato chiesto di correre velocemente alla lavagna per scrivere per primo il vocabolo richiesto dalla docente.

Orbene l'alunna era stata spinta da un compagno e aveva sbattuto violentemente la mano contro la lavagna, riportando una frattura al polso destro.

La bambina, rimasta assente tre giorni da scuola, aveva portato il gesso per un intero mese. La consulenza medico-legale prodotta in giudizio dai genitori stimava un danno permanente del 3%. Pertanto, i genitori chiesero al giudice che, accertata e dichiarata la responsabilità dell'evento in capo al personale didattico dipendente, i convenuti venissero condannati, in solido fra loro, al pagamento del risarcimento dei danni.

Si costituirono i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda stante l'assenza di responsabilità in capo all'insegnante e al dirigente scolastico.

 Secondo la scuola, il compagno aveva spinto la minore in maniera del tutto fortuita, imprevedibile e improvvisa ed inoltre tutte le misure disciplinari e organizzative idonee ad evitare una situazione di pericolo erano state messe in atto dalla scuola.


Il Giudice di Pace però condannava i convenuti in solido al risarcimento dei danni, ritenendo che l'attività posta in essere fosse pericolosa, che l'evento fosse facilmente prevedibile e che i convenuti non avessero fornito la prova di aver adottato tutte le misure idonee, sia sotto il profilo organizzativo che disciplinare, a evitare il sorgere di situazioni di pericolo tali da determinare il danno, ravvisando quindi i presupposti della responsabilità ex art. 2048, comma 2, c.c..

Secondo tale norma, gli insegnanti rispondono del danno causato dal fatto illecito degli allievi per il tempo in cui si trovano sotto la loro vigilanza e sorveglianza.

Infine, la valutazione dell'entità del risarcimento era stato determinato sulla base della consulenza di parte prodotta in atti .

La Corte d'Appello, non giunge invece alle stesse conclusioni e non ravvisa in capo agli operatori scolastici alcuna responsabilità.

In particolare, il giudice di Pace aveva omesso di valutare le testimonianze rese, dalle quali sarebbe emersa l'adozione, da parte dei convenuti, di misure  organizzative e disciplinari idonee a prevenire il fatto, in quanto, prima dell'espletamento dell'attività didattica, venivano specificamente imposte agli alunni regole comportamentali e organizzative, anche mediante la formazione di file ordinate di scolari.

L'attività veniva presentata durante i corsi di aggiornamento e riportata sui manuali didattici ed ancora erano stati rimossi i banchi ed eventuali ostacoli dal percorso.

La docente aveva partecipato a corsi di formazione in ordine alla prevenzione di infortuni scolastici.

Quanto alla dinamica del sinistro, dalla testimonianza resa dal compagno di classe si evinceva che l'urto con la compagna era stato causato dal fatto che egli aveva perso l'equilibrio per la presenza di una matita per terra, ragion per cui tale evento, secondo il Tribunale, avrebbe potuto verificarsi in occasione di qualsiasi altra attività didattica, anche senza la corsa.

Pertanto, la lesione non poteva essere imputabile ai convenuti, trattandosi di un evento determinato da causa imprevedibile ed inevitabile.
Altro errore commesso dal Giudice di pace, il non disporre la CTU medico-legale per la valutazione dei danni patiti dalla minore ed aver esclusivamente considerato la perizia di parte prodotta dai genitori.

La valutazione effettuata in mancanza del necessario contraddittorio stante la contestazione, da parte dei convenuti del contenuto della stessa, determinava l'assenza di prova in ordine alla quantificazione dei danni, quindi la domanda attorea sul punto avrebbe dovuto essere necessariamente rigettata. 

 

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