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Con l'ordinanza n. 14746 dello scorso 29 maggio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul diritto di una donna di ottenere il risarcimento dei danni patiti per il decesso del proprio convivente more uxorio, ha cassato la sentenza del giudice di merito la quale – erroneamente ritenendo che nelle convivenze di fatto i rapporti di affetto e di condivisione si consolidano in tempi molto più ampi che nei legami affettivi tra coniugi – aveva liquidato un importo pari a circa la metà della misura minima prevista dalla corrispondente forbice delle Tabelle di Milano per la perdita di un coniuge.
Si è, sul punto, precisato che la sentenza, fondata in modo esclusivo su una specifica discriminazione ontologica tra le convivenze di fatto e i rapporti coniugali fondati sul matrimonio, risulta lesiva degli stessi criteri adottati nelle "tabelle di Milano", ove vi è una espressa equiparazione convivenze more uxorio e convivenze coniugali fondate sul matrimonio.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio da una richiesta di risarcimento danni avanzata da una donna per la morte del proprio compagno, convivente more uxorio, determinatesi a seguito di un sinistro stradale.
La Corte di Appello di Roma, a conferma della decisione di primo grado, condannava l'impresa assicuratrice al risarcimento, in favore dell'attrice, dei danni da quest'ultima subiti a seguito del decesso del proprio convivente more uxorio.
In particolare, i Giudici, a fondamento della decisione assunta, evidenziavano come fosse stata raggiunta la prova dell'effettiva sussistenza, tra l'attrice e la vittima, di un rapporto di convivenza, dotato dei caratteri di stabilità e intensità affettiva assimilabili a un rapporto di natura matrimoniale, sì da giustificare il riconoscimento, in favore della donna, del risarcimento dei danni dalla stessa sofferti nella misura liquidata.
Avverso tale sentenza la donna proponeva ricorso per Cassazione eccependo violazione degli artt. 2043, 2059, 1226 c.c. e degli artt. 3 e 29 Cost., nonché del principio dell'integrale risarcimento del danno.
In particolare, secondo la ricorrente, la Corte territoriale, sulla base di una motivazione del tutto priva di fondamento logico-giuridico, aveva illegittimamente liquidato, in suo favore, un importo a titolo di risarcimento del danno da perdita del rapporto con il convivente more uxorio in misura ingiustificatamente penalizzante rispetto al parametro costituito dalla misura ordinariamente seguita per la liquidazione del danno da perdita del rapporto coniugale.
La Cassazione condivide le doglianze della ricorrente, ritenendole manifestamente fondate.
Gli Ermellini premettono che le tabelle del Tribunale di Milano – assumendo rilievo, ai sensi dell'art. 1226 c.c., come parametri per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona – devono essere correttamente applicate dal giudice di merito, pena la censura per violazione di legge, rilevabile anche in sede di legittimità.
In particolare, il giudice, quando procede alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale in applicazione delle c.d. tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, è tenuto ad esplicitare, in motivazione, se e come abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un risarcimento integrale del pregiudizio subito da ciascun danneggiato.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte di merito non ha sufficientemente chiarito per quale motivo, pur dichiarando espressamente di volersi uniformare alle misure di liquidazione previste dalle tabelle del Tribunale di Milano, ha poi determinato, in favore della convivente del defunto, un importo pari a circa la metà della misura minima prevista dalla corrispondente forbice tabellare.
Sul punto, gli Ermellini rilevano come non è condivisibile la motivazione addotta dalla sentenza impugnata, secondo cui nell'ambito delle convivenze di fatto rapporti di affetto e di condivisione si consolidano in tempi molto più ampi che nei legami affettivi tra i componenti di una coppia unita in matrimonio: tale motivazione, infatti, è fondata in modo esclusivo su una specifica discriminazione ontologica tra le convivenze di fatto e i rapporti coniugali fondati sul matrimonio, sicché risulta lesiva degli stessi criteri adottati nelle "tabelle di Milano", ove vi è una espressa equiparazione convivenze more uxorio e convivenze coniugali fondate sul matrimonio.
Alla luce di siffatte contingenze, la Cassazione accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche ai fini della regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
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