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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 43939, è intervenuta nuovamente sul reato di maltrattamenti in famiglia.
Nel caso in questione trattasi della vicenda di un fratello non più convivente con il soggetto maltrattato nominato suo amministratore di sostegno, il quale prestava anche assistenza fisica alla vittima ad esempio quando non era presente la badante.
La Cassazione ha superato quello che prima era considerato elemento centrale e cioè il requisito della convivenza, sottolineando invece l'importanza dell'esistenza di legami forti, di vincoli di solidarietà tra le parti, anche se residenti in abitazioni diverse, come nel caso in questione.
La Corte d'Appello aveva già condannato l'imputato che teneva abitualmente condotte vessatorie ai danni del fratello bloccato su una sedia a rotelle a causa di da un grave handicap.
Sia la vittima che la badante avevano fatto dichiarazioni che deponevano in tal senso ed inoltre vi era stato anche un accesso al pronto soccorso a seguito di una aggressione fisica.
Inoltre, l'amministratore non aveva pagato le competenze alla badante ed aveva requisito il bancomat e i libretti di risparmio, oggettivamente violato i propri doveri.
Orbene, se in dottrina spesso si è dato risalto al requisito della convivenza per configurare il reato di maltrattamenti in famiglia, ipotizzato in questo caso, in quanto non era ritenuto sufficiente il mero rapporto di parentela.
Al contrario, per i giudici, chiarita l'esistenza della condotta materiale ascritta all'imputato, "non vi è spazio per escluderne la riconducibilità al reato di maltrattamenti, reato configurabile anche in assenza di un rapporto di stabile convivenza tra le parti, tenuto conto non solo del rapporto di consanguineità tra imputato e persona offesa, oggetto di contestazione fin dall'imputazione, ma anche del rapporto di cura che di fatto l'imputato svolgeva e che va ben al di là dell'assistenza prestata quale amministratore di sostegno".
Invece per la giurisprudenza l'art. 572 del codice penale, parla di "persona comunque convivente", per specificare il concetto "persona di famiglia" sicché, ove tra i soggetti non sussista un rapporto di convivenza, la permanenza di un vincolo di tipo esclusivamente formale non è sufficiente, di per sé, ad assurgere a criterio valutativo dirimente, dovendosi, viceversa, indagare la sussistenza o meno di un rapporto che nel suo sviluppo sostanziale mantenga le caratteristiche della familiarità e riveli la permanenza di vincolo di solidarietà che della "famiglia" costituisce il tratto fondante, non potendo, questa, ridursi ad un mero dato anagrafico.
Per configurarsi il reato si richiede la permanenza di rapporti di reciproca assistenza morale e affettiva, e si ritiene il reato non configurabile ove risulti la definitiva disgregazione dell'originario nucleo familiare.
Tale accertamento verrà svolto attraverso dati oggettivi, come la permanenza di rapporti di reciproca assistenza morale e affettiva o la cessazione definitiva di qualunque rapporto tra i membri di una famiglia, piuttosto che ai dati della convivenza o coabitazione, che potrebbero risultare puramente formali.
Il principio condiviso anche dalla VI Sezione penale, afferma che il delitto di maltrattamenti ai sensi dell'art. 572 del codice penale, è configurabile nelle relazioni tra consanguinei, in quanto "persone della famiglia", anche se manca la convivenza o dopo la sua cessazione, salvo che i vincoli di solidarietà, che costituiscono il presupposto della fattispecie incriminatrice, siano di fatto venuti meno per la definitiva interruzione di ogni rapporto tra le parti.
Pertanto, nel caso in questione non è rilevante la mancanza di un rapporto di convivenza tra l'imputato e la persona offesa, in quanto in presenza di un vincolo familiare forte quale quello tra fratelli, deve rilevarsi come la sentenza impugnata abbia correttamente ritenuto perduranti gli intensi vincoli di solidarietà tra la persona offesa e l'imputato che si faceva carico, stabilmente e non episodicamente, della sua assistenza, nell'ambito di un rapporto che tra l'altro si era accresciuto da quando aveva assunto l'incarico di amministratore di sostegno.
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Mi chiamo Elsa Sapienza, ho studiato legge e sono diventata avvocato nel 2008.
Da sempre appassionata del diritto di famiglia, ho compreso negli anni che non mi bastava occuparmi di studiare, interpretare ed applicare norme giuridiche, ma, nutrivo un sincero interesse verso la cura delle relazioni tra le persone. Così mi sono avvicinata sempre di più al mondo delle mediazione ed ho approfondito sempre di più le mie conoscenze in tale settore, divenendo prima mediatore familiare, poi mediatore civile e commerciale, penale e scolastico.
Ho fondato l’Associazione Logos Famiglia e Minori, oggi EOS, acronimo di educazione – orientamento – sostegno, affascinata dalla prospettiva di lavorare in sinergia con altri professionisti, offrendo un servizio a 360° alle persone bisognose di un valido supporto ed offrendo loro uno spazio – luogo dove sentirsi accolte e ascoltate attraverso un approccio multidisciplinare.
Sono avvocato specialista in diritto delle persone, delle relazioni familiari e dei minorenni, tutore e curatore speciale dei minori.
Ho frequentato il Master in Situazioni di Affido e Adozione, settore di cui mi occupo da molti anni anche grazie alle esperienze maturate all’interno del mondo dell’associazionismo. Amo fare passeggiate nei boschi soprattutto d’estate, il mare della mia splendida città e viaggiare!