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Responsabilità disciplinare avvocati. Culpa in vigilando per l'operato dei collaboratori

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Fonte https://www.codicedeontologico-cnf.it/

Qualora la segretaria di studio pubblichi sul profilo social dello studio legale un post contenente violazioni deontologiche, ne rispondono gli avvocati dello studio? La questione della responsabilità del professionista ai fini dell'addebito dell'infrazione disciplinare è stata esaminata dal Consiglio sotto il profilo della volontarietà del soggetto che avrebbe dovuto vigilare e non l'ha fatto(Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 177 del 20 settembre 2023).

Analizziamo la questione sottoposta al vaglio del Consiglio

I fatti del procedimento disciplinare

Due avvocati appartenenti ad uno Studio Legale associato sono stati sanzionati dal CDD in quanto a seguito di un incidente ferroviario con conseguenze drammatiche per 49 persone di cui tre hanno perso la vita, hanno pubblicato sul profilo social del proprio studio un post nel quale è stata offerta ai prossimi congiunti delle vittime e alle persone che hanno subito lesioni, un'assistenza altamente qualificata, al fine di ottenere il giusto risarcimento dai responsabili dell'accaduto.

Gli incolpati hanno impugnato la decisione del CDD lamentando l'erronea valutazione della riferibilità di quanto accaduto ai singoli avvocati incolpati, nonché l'erronea applicazione del principio della suitas nella condotta deontologicamente rilevante. Ciò in quanto, a parere degli incolpati, il CDD non avrebbe tenuto conto del fatto che i ricorrenti lavorano in una struttura organizzativa di uno studio associato e hanno delegato al collega esperto in materia l'organizzazione, la programmazione e la gestione dell'informatica dello Studio, ivi compresa la pubblicità sul sito web e che questi a sua volta ha delegato le mansioni di natura meramente operativa alla dipendente del cui operato non potrebbe rispondere né per responsabilità oggettiva né per culpa in eligendo e/o in vigilando.

Pertanto i ricorrenti hanno sostenuto l'involontarietà dell'accaduto ed eccepito l'erroneità della decisione per aver applicato le disposizioni di cui gli artt. 4 comma e e 7 CDF. 

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto corretta la ricostruzione effettuata dal CDD che ha inquadrato la responsabilità disciplinare degli incolpati in un contesto di modelli organizzativi carenti in ordine all'attività promozionale sul web svolta dallo Studio Legale sia di culpa in eligendo sia di culpa in vigilando.

Le norme di cui gli artt. 4 comma 1 e 7 CDF prevedono che:

  • «La responsabilità disciplinare discende dalla inosservanza dei doveri e delle regole di condotta dettati dalla legge e dalla deontologia, nonché dalla coscienza e volontà delle azioni od omissioni» (art. 4 comma 1);
  • «L'avvocato è personalmente responsabile per condotte, determinate da suo incarico, ascrivibili a suoi associati, collaboratori e sostituti, salvo che il fatto integri una loro esclusiva e autonoma responsabilità» (art. 7 CDF);

Il Consiglio ha affermato che da queste disposizioni discende che:

  • il professionista risponde anche dell'operato dei suoi associati, collaboratori e sostituti;
  • l'imputabilità ad essi delle condotte contestate (commissive o omissive) non incide sul requisito della suitas;
  • la culpa in vigilando non esclude la sussistenza dell'elemento psicologico.

 Sul punto il Consiglio ha richiamato la propria costante giurisprudenza secondo la quale «la responsabilità del professionista ai fini dell'addebito dell'infrazione disciplinare non necessita di cosiddetto dolo specifico e/o generico, essendo sufficiente la volontarietà con cui l'atto è stato compiuto ovvero omesso, anche quando questa si manifesti in un mancato adempimento all'obbligo di controllo del comportamento dei collaboratori e/o dipendenti. Il mancato controllo costituisce piena e consapevole manifestazione della volontà di porre in essere una sequenza causale che in astratto potrebbe dar vita ad effetti diversi da quelli voluti, che però ricadono sotto forma di volontarietà sul soggetto che avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto» (CNF 5 novembre 2021 n. 189; CNF 9 ottobre 2020 n. 177; CNF 28 dicembre 2018 n. 220; CNF 29 aprile 2017 n. 49).

Di conseguenza è stata fondatamente esclusa l'applicazione dell'esimente di cui all'art. 7 CDF , «salvo che il fatto integri una loro esclusiva e autonoma responsabilità». Come precisato dal Consiglio, infatti, questa esimente potrebbe ricorrere in relazione ad una azione del tutto avulsa da un obbligo e da una possibilità di controllo oppure nell'ambito di una condotta abnorme da parte di un dipendente (o associato o collaboratore) mentre non può essere applicata là dove sia presente una struttura organizzata in grado di prevenire l'evento e la cui realizzazione e organizzazione dipenda da responsabilità propria degli avvocati associati, che hanno il dovere di predisporre formazione e istruzioni adeguate e un controllo efficace sull'operato dei dipendenti. Ne discende che qualora fosse stata tenuta la condotta omessa di vigilanza, questa sarebbe stata idonea ad impedire l'evento e a prevenire l'azione errata del collaboratore.

Per questi motivi il Consiglio ha ritenuto che ai sensi degli artt. 4 comma 1 e 7 CDF la condotta errata è riferibile agli incolpati.

 

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