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Consiglio di Stato, sentenza del 19 settembre 2023, n. 8422.
Il Consiglio di Stato, il 19 settembre scorso, ha rigettato l'appello proposto dal Ministero dell'Interno nei confronti di una sentenza del TAR che aveva ritenuto legittima una richiesta di cambio del cognome.
Nell'istanza, la ricorrente aveva motivato tale richiesta sostenendo che il padre, dopo la separazione ed il divorzio dalla madre, non si era mai preoccupato del suo sostentamento, serbando nei suoi confronti un atteggiamento anaffettivo ed arrogante, palesando il proprio disinteresse ad instaurare con lei un rapporto di tipo affettivo, quale avrebbe dovuto essere quello tra genitore e figlia, e negandole perfino il saluto in occasione di incontri casuali verificatisi nel tempo.
Secondo il Ministero appellante, nell'accogliere il ricorso, il TAR aveva violato i principi dettati in tema di diritto al cognome, la cui funzione era quella di radicare e collegare l'individuo con la propria comunità familiare di appartenenza.
I giudici di palazzo Spada, pur concordando con quanto affermato dal Ministero circa la fondamentale funzione svolta dal cognome, hanno, però, replicato che la originaria procedura di attribuzione del cognome era basata su un sistema costituente retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affondava le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico e in una tramontata potestà maritale, non più ritenuta coerente con i principi dell'ordinamento.
L'abbandono della concezione patriarcale della famiglia, prosegue la sentenza, ha gradualmente inciso anche sul regime normativo relativo all'attribuzione del cognome ai figli, ed ha trovato la sua massima espressione nella sentenza n. 131 del 2022., che ha fissato il principio in base al quale il cognome del figlio debba comporsi con i cognomi dei genitori, nell'ordine dagli stessi deciso, fatta salva la possibilità che, di comune accordo, i genitori attribuiscano soltanto il cognome di uno dei due.
Tale decisione, invero, ha consacrato il cambio di prospettiva in ordine alla portata e alla valenza del cognome dell'individuo, anche in ragione dell'influenza della Corte EDU: da un iniziale approccio teso ad assumere il cognome come segno distintivo della famiglia e, quindi, come strumento per individuare l'appartenenza della persona a un determinato gruppo familiare, si è passati ad un processo di valorizzazione del diritto all'identità personale, valore assoluto avente copertura costituzionale ex art. 2 Cost., in virtù del quale il cognome assurge ad espressione dell'identità del singolo.
È emersa, concludono i decidenti sul punto, una particolare sensibilità sul tema del "cognome", come testimonianza del legame del figlio con entrambi i suoi genitori, o, se si vuole, con ciascuno di essi, in quanto l'assegnazione del cognome deve intendersi funzionale alla migliore costruzione dell'identità del figlio.
Quanto alla fattispecie oggetto di giudizio, il Consiglio di Stato ha affermato che, pur non ricadendo la controversia sottoposta al suo esame nella disciplina attualmente vigente dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 131/2022, nondimeno, taluni principi espressi dai giudici costituzionali in tale decisione, possono assumere rilevanza anche in tale ambito.
Infatti, conclude la sentenza in commento, tenendo conto dei principi espressi dalla Corte Costituzionale in tema di identità personale e attribuzione del nome, le ragioni addotte dalla ricorrente (indicative di una palese divergenza tra la sua identità personale ed il cognome che le era stato attribuito, che costituiva espressione di un vincolo familiare con il padre, che nella realtà non esisteva) possono essere ritenute serie e ponderate, costituendo, il cambio di cognome, lo strumento per recidere un legame solo di forma, impostole per legge, che negli anni ha pesato sulla sua condizione personale, in quanto del tutto estraneo alla sua identità personale.
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Paola Mastrantonio, avvocato; amante della libertà, della musica e dei libri. Pensiero autonomo è la mia parola d'ordine, indipendenza la sintesi del mio stile di vita. Laureata in giurisprudenza nel 1997, ho inizialmente intrapreso la strada dell'insegnamento, finché, nel 2003 ho deciso di iscrivermi all'albo degli avvocati. Mi occupo prevalentemente di diritto penale. Mi sono cimentata in numerose note a sentenza, pubblicate su riviste professionali e specializzate. In una sua poesia Neruda ha scritto che muore lentamente chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno. Io sono pienamente d'accordo con lui.