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Nell'ambito dell'attività infermieristica, il tempo impiegato dal dipendente per la vestizione e la svestizione, così come quello necessario per il passaggio di consegne, vanno computati nell'orario di lavoro, con conseguente diritto alla retribuzione aggiuntiva.
Corte di Cassazione, ordinanza n. 25477/2023.
Il 31 agosto scorso la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da una cooperativa operante nel settore dei servizi socio-sanitari, diretto ad ottenere l'annullamento di una sentenza (emessa dalla Corte d'Appello di Torino), che l'aveva condannata al pagamento, in favore di un dipendente, della retribuzione per il tempo speso a compiere le operazioni di vestizione, di svestizione e di passaggio di consegne.
Secondo quanto affermato nel ricorso introduttivo dalla società ricorrente, la decisione della Corte territoriale contrastava con l'art. 1, comma 2, lett. a) del D.Lgs. n. 66 del 2003.
Le disposizioni contenute nel Decreto Legislativo n. 66/2003, nel dare attuazione organica alla Direttiva 93/104/CE del Consiglio del 23 novembre 1993, sono dirette a regolamentare in modo uniforme, su tutto il territorio nazionale, e nel pieno rispetto del ruolo dell'autonomia negoziale collettiva, i profili di disciplina del rapporto di lavoro connessi all'organizzazione dell'orario di lavoro.
L'articolo richiamato dalla cooperativa ricorrente, ossia l'articolo 1, comma 2, lett. a), chiarisce cosa debba intendersi con la locuzione "orario di lavoro", specificando che in tale nozione debba farsi rientrare qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività e delle sue funzioni.
Riguardo al tempo necessario per indossare la divisa aziendale, la Cassazione, già nel lontano 2016, aveva affermato (all'esito di un procedimento che aveva visto come protagonisti i dipendenti di una residenza per anziani) che il tempo impiegato dal dipendente per la vestizione e la svestizione andava computato nell'orario di lavoro, a condizione, tuttavia, che tale operazione fosse eterodiretta dal datore di lavoro.
Infatti, aveva altresì specificato la Suprema Corte, se le modalità esecutive di detta operazione sono imposte dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, l'operazione stessa rientra nel lavoro effettivo e, di conseguenza, il tempo ad essa necessario deve essere retribuito, ritenendosi tale soluzione coerente con la previsione contenuta nel su citato l'art. 1, comma 2, lett. a) del D.Lgs. n. 66 del 2003.
Tale orientamento, consolidatosi nel tempo, è stato recepito anche dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che, rispondendo ad un interpello con il quale l'UGL - Federazione nazionale delle autonomie, aveva chiesto se potessero "essere inclusi nell'orario di lavoro i tempi di vestizione della divisa da parte dei dipendenti, inquadrati in vari ruoli professionali, di aziende che applichino un CCNL che non preveda disposizioni specifiche al riguardo", acquisito il parere dell'Ufficio legislativo, ha affermato che "l'attività di vestizione e di svestizione debba essere inclusa nell'orario di lavoro solo in presenza dei requisiti previsti dalla richiamata giurisprudenza, e cioè nel caso in cui il datore di lavoro abbia imposto al lavoratore di indossare determinati indumenti dallo stesso forniti, con il vincolo di tenerli sul posto di lavoro. Viceversa, non sarebbe riconducibile ad orario di lavoro l'ipotesi in cui i lavoratori non siano obbligati ad indossare la divisa in azienda e non abbiano l'obbligo di dismetterla alla fine dell'orario, lasciandola in sede. In tali ultime ipotesi, infatti, il lavoratore resta libero di scegliere il tempo e il luogo dove indossare la divisa, ben potendo decidere di effettuare tale operazione presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro."
Nell'ordinanza 25477/2023, i giudici di legittimità hanno riaffermato l'orientamento già in precedenza espresso, precisando, però, che l'attività di assistenza agli anziani, per sua natura richiede che la divisa sia necessariamente indossata e tolta, per ragioni di igiene, presso il luogo di lavoro e non altrove.
Secondo l'ordinanza in commento, dunque, nel settore socio-sanitario, l'attività di vestizione e svestizione si profila come accessoria e propedeutica alla prestazione lavorativa, svolta non soltanto nell'interesse dell'azienda, ma soprattutto dell'igiene pubblica e da superiori esigenze di sicurezza ed igiene.
Quanto affermato dai giudici della Cassazione, non contrasta con l'indirizzo espresso in precedenti pronunce, ma, piuttosto, ne rappresenta il logico sviluppo, ponendo l'accento sulla funzione assegnata all'abbigliamento, nel senso che la eterodirezione può derivare dall'esplicita disciplina di impresa, ma anche risultare implicitamente dalla natura degli indumenti, quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell'abbigliamento, o dalla specifica funzione che devono assolvere.
Non dissimile è stato, poi, il percorso argomentativo seguito dalla Suprema Corte per giungere ad affermare la retribuibilità del tempo impiegato dai lavoratori, al termine dell'orario di lavoro, per effettuare il passaggio di consegne ai colleghi subentranti nel turno successivo.
In questo caso, infatti, da quanto si desume dal tenore della sentenza, la possibilità di far rientrare nell'orario di lavoro il periodo necessario al passaggio di consegne è legata a doppio filo alla specificità del lavoro infermieristico.
Nell'ambito dell'attività infermieristica, ha ricordato infatti la Cassazione, il cambio di consegne nel passaggio di turno, in quanto connesso, per le peculiarità del servizio sanitario, all'esigenza della presa in carico del paziente e ad assicurare a quest'ultimo la continuità terapeutica, è riferibile ai tempi di una diligente, effettiva prestazione di lavoro, di modo che va considerato, di per sé stesso, meritevole di ricompensa economica, quale espressione della regola deontologia, avente dignità giuridica, della continuità assistenziale.
Tale principio, hanno precisato i giudici di legittimità, può trovare applicazione indipendentemente dal modello organizzativo (unipersonale o societario) adottato per l'esercizio dell'attività socio-sanitaria e conseguentemente anche nel caso in cui (come quello in oggetto) il ricorrente sia un socio lavoratore, purché dalle risultanze istruttorie emerga in maniera evidente che il passaggio di consegne costituisca espletamento di una mansione lavorativa connessa alla peculiarità del servizio prestato.
Dunque, per il personale delle RSA, le attività di vestizione/svestizione e di passaggio di consegne, in quanto obbligatorie, in ragione delle superiori esigenze di sicurezza ed igiene nella gestione del servizio pubblico e della stessa incolumità del personale, devono essere riconosciute come attività rientranti nell'orario di lavoro e, in ragione di ciò, devono essere retribuite.
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Paola Mastrantonio, avvocato; amante della libertà, della musica e dei libri. Pensiero autonomo è la mia parola d'ordine, indipendenza la sintesi del mio stile di vita. Laureata in giurisprudenza nel 1997, ho inizialmente intrapreso la strada dell'insegnamento, finché, nel 2003 ho deciso di iscrivermi all'albo degli avvocati. Mi occupo prevalentemente di diritto penale. Mi sono cimentata in numerose note a sentenza, pubblicate su riviste professionali e specializzate. In una sua poesia Neruda ha scritto che muore lentamente chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno. Io sono pienamente d'accordo con lui.