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Licenziato in tronco il primario anche se in pensione.

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 Ha dell'inverosimile la vicenda che ha coinvolto il primario dell'istituto oncologico di Bari che, infatti, potrebbe essere destinatario di un provvedimento disciplinare espulsivo, pur essendo in pensione.

Il primario, accusato di concussione e peculato, era stato arrestato in flagranza di reato dalla polizia, nel suo studio, mentre chiedeva ai suoi pazienti soldi, non dovuti, per delle visite di controllo in realtà garantite gratuitamente, con la promessa di far saltare loro la lista di attesa.

Alla notizia dell'arresto, l'azienda sanitaria aveva iniziato l'azione disciplinare, ritenendo la condotta del primario gravemente lesiva non solo dell'immagine dell'ente, ma altresì non consona al suo status di dipendente pubblico, oltre che contraria ai doveri scaturenti dal contratto di lavoro.

Il primario, però, raggiunto dal provvedimento cautelare, aveva presentato domanda di pensionamento anticipato, di fatto presentando delle dimissioni volontarie per sopraggiunti limiti di età, a seguito dell'arresto.

Il provvedimento, sicuramente espulsivo, che verrà adottato all'esito del procedimento disciplinare, rappresenterà un singolare caso di licenziamento in tronco successivo alle dimissioni volontarie per sopraggiunta età pensionabile.

L'episodio, pur apparendo paradossale, in realtà trova un riscontro sia nella normativa che nella giurisprudenza, per lo meno in riferimento al comparto pubblico.

L'118 del Decreto del Presidente della Repubblica, del 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) stabilisce, infatti che qualora, nel corso del procedimento disciplinare, il rapporto d'impiego cessi anche per dimissioni volontarie o per collocamento a riposo a domanda, il procedimento stesso prosegue agli effetti dell'eventuale trattamento di quiescenza e previdenza.

A sua volta, il D.Lgs. n. 165 del 2001, all'art. 55 bis, comma 9, introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2009, prevede che: in caso di dimissioni del dipendente, se per l'infrazione commessa è prevista la sanzione del licenziamento o se comunque è stata disposta la sospensione cautelare dal servizio, il procedimento disciplinare ha egualmente corso e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Deve poi considerarsi che, in ossequio al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, nel pubblico impiego contrattualizzato, l'esercizio del potere disciplinare è obbligatorio e non facoltativo, dunque, mentre il datore di lavoro privato è libero di valutare l'opportunità e la convenienza dell'iniziativa e anche di tollerare comportamenti che potrebbero essere ritenuti disciplinarmente rilevanti, non altrettanto può dirsi per il datore di lavoro pubblico, che in nessun caso può consentire che rimangano impunite condotte poste in essere dall'impiegato in violazione delle regole di comportamento imposte dalla legge o dal contratto collettivo.

Per quanto singolare, la vicenda occorsa al primario dell'istituto oncologico di Bari, non rappresenta una novità per la giurisprudenza.

Infatti, la questione della permanenza del potere disciplinare della pubblica amministrazione nei confronti dei dipendenti cessati dal servizio è stata già trattata dalla sezione lavoro Suprema Corte con la sentenza n. 18944/2021, che ha rigettato il ricorso di un ex dipendente pubblico che aveva impugnato il licenziamento per giusta causa. 

In tale decisione i giudici di legittimità hanno posto in evidenza che l'interesse del datore di lavoro pubblico ad accertare, anche a rapporto cessato, la responsabilità del dipendente nei casi di gravi illeciti disciplinari, trascende quello meramente economico ed hanno altresì sottolineato che il principio di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione giustifica l'intervento disciplinare postumo in tutti i casi in cui il comportamento del dipendente infedele abbia leso l'immagine della P.A. che è, quindi, tenuta ad intervenire a salvaguardia di interessi collettivi di rilevanza costituzionale.

Nel caso che ha coinvolto il primario dell'istituto oncologico di bari, poiché è pendente un procedimento penale, molto probabilmente il procedimento disciplinare resterà sospeso per poi essere riattivato all'esito del giudizio e ciò anche nel caso in cui il processo penale si chiuda con una sentenza di non luogo a procedere, ad esempio, a causa di prescrizione.

Ciò, in quanto, come chiarito dalla Cassazione nella sentenza citata, l'estinzione del reato non determina l'automatica archiviazione del procedimento disciplinare, potendo, comunque, risultare un inadempimento sanzionabile su tale piano.

Chiarito che l'interesse all'esercizio dell'azione disciplinare da parte della pubblica amministrazione permane anche nel caso in cui, nel frattempo, il dipendente sia stato collocato in pensione, e che tale conclusione si giustifica alla luce del fatto che il datore pubblico è tenuto ad intervenire anche per salvaguardare interessi collettivi di rilevanza costituzionale, appare lecito domandarsi, tuttavia, quali possano essere, sul piano pratico, le conseguenze dell'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti del dipendente oramai in pensione.

Nel caso specifico, poiché il primario si è dimesso per pensionamento anticipato, costui dovrà rispettare il periodo di preavviso previsto per legge, durante il quale, maturerà il diritto a tutti gli emolumenti di legge.

Il licenziamento disciplinare (che come tutti sanno è un licenziamento in tronco), dunque, inciderà proprio sulle retribuzioni e gli emolumenti spettanti per tale ultimo periodo, nonché sul TFR, e, di conseguenza, sulla stessa pensione. 

 

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