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Caduta sul gradino rotto della scalinata di una chiesa: nessuna responsabilità del Comune

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Con ordinanza n. 5841 del 28 febbraio 2019, la Corte di Cassazione ha stabilito che il Comune non è responsabile per l'omessa custodia di un bene destinato all'attività di culto. In tali casi, infatti, anche se tale bene (come ad esempio la scalinata di un duomo) ha per consuetudine un uso pubblico, la custodia grava sul proprietario e non sull'ente territoriale, a meno che non si dimostri che il Comune abbia il possesso o la detenzione della cosa.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti d causa.

Il ricorrente ha agito in giudizio contro la Diocesi e il Comune per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di una caduta in cui lui è occorso; caduta, questa, imputabile, a suo dire, a un gradino della scalinata di accesso al Duomo rotto e non adeguatamente segnalato. In primo grado, il Tribunale ha condannato la Diocesi a risarcire i danni subiti dal ricorrente in occasione del sinistro e ha rigettato la domanda nei confronti dell'ente territoriale. Contro questa decisione, la Diocesi ha proposto appello che è stato accolto. In particolare, la Corte di appello ha rigettato la domanda svolta dal ricorrente

  • nei confronti della Diocesi, in quanto «l'attore avrebbe dovuto dare prova del fatto che la Diocesi teneva una disponibilità giuridica e materiale della scala di accesso del Duomo e solo successivamente dar prova del nesso causale tra cosa in custodia e danno»;
  • nei confronti del Comune, in quanto «le scale su cui si è verificato il sinistro non ricadono nella proprietà del Comune», e non è stata fornita alcuna «prova di una disponibilità giuridica e materiale da parte del Comune della scala di accesso al Duomo».

Il caso è giunto dinanzi ai Giudici di legittimità. 

La decisione della SC.

Innanzitutto, la Corte di cassazione evidenzia che affinché possa essere ritenuta responsabile la Diocesi, in qualità di custode del bene destinato all'attività di culto, ai sensi dell'articolo 2051 codice civile, è necessario provare «la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto (nella specie, la Diocesi) e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla,di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa» (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 27724 del 30/10/2018; Cass. , sez. 3, sentenza n. 15761/2016)». L'onere di provare tale potere di controllo incombe sul danneggiato. Chiarito questo, a parere dei Giudici di legittimità, tale onere non è stato assolto dal ricorrente. Con l'ovvia conseguenza che bene ha deciso la Corte d'appello nel rigettare la richiesta di risarcimento danni nei confronti della Diocesi. Con riferimento, poi, alla domanda nei confronti del Comune, la Suprema Corte di cassazione condivide la decisione del Giudice di secondo grado. E ciò in in quanto,nella fattispecie in esame, non è stata provata la responsabilità dell'ente territoriale. In buona sostanza, affermare (come fa il ricorrente) che quest'ultimo è proprietario dell'area limitrofa alla scalinata e che l'uso generalizzato e pubblico di questa avrebbe dovuto obbligare il Comune alla manutenzione della stessa, non è sufficiente a dimostrare la responsabilità dell'ente territoriale. Ai fini che qui interessano, si fa rilevare che«l'uso pubblico in genere riferito al transito può interessare una strada o un altro bene di proprietà privata». Orbene, qualora venga sancita «l'imposizione di un vincolo di uso pubblico su strada vicinale, pur permettendo alla collettività di esercitarvi il diritto di servitù di passaggio con le modalità consentite dalla conformazione della strada stessa, detta imposizione non altera il diritto di proprietà sulla strada, che rimane privata (Sez. 2 - Sentenza n. 15618 del 14/06/2018; Cass., Sez. 6 - 2, n. 11028 del 19 maggio 2011)». 

Infatti l'uso pubblico di un bene privato non è in grado di trasferire né il potere di fatto sulla cosa né gli oneri di custodia sul Comune che provvede alla gestione e manutenzione delle adiacenti pubbliche vie. Equiparabile al bene privato è quello destinato all'attività di culto. In tali ipotesi, a parere dei Giudici di legittimità, «la responsabilità da omessa custodia di un bene destinato all'attività di culto, anche se per consuetudine asservito a un uso pubblico, grava sul proprietario del bene e non sull'ente territoriale su cui insiste il bene, a meno che non sia dimostrata una detenzione o un potere di fatto dell'ente territoriale sulla cosa». Tornando al caso in esame, il ricorrente non ha dimostrato l'innanzi citato potere di fatto del Comune. Tale mancanza, tra l'altro, discende dal rilievo che, dopo l'incidente occorso in danno del ricorrente, il dirigente del servizio comunale competente ha rivolto all'ente ecclesiastico un invito a porre la scalinata di ingresso al duomo in sicurezza. Questo rilievo, a parere della Suprema Corte, è la miglior riprova della carenza di qualsivoglia potere di fatto in capo all'ente territoriale. 

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, i Giudici di legittimità hanno confermato la decisione di secondo grado, rigettando il ricorso. 

 

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