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Ricettazione o incauto acquisto?

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 Con la sentenza in commento, la n. 10645, depositata lo scorso 25 marzo 2020, la Corte di Cassazione torna a delineare in concreto la differenza tra ricettazione e incauto acquisto.

L'art. 648 c.p. (ricettazione) prevede che "Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329."

L'incauto acquisto è invece sanzionato dall'art. 712 c.p.

Si tratta di una contravvenzione dal seguente tenore "Chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a euro 10.

Alla stessa pena soggiace chi si adopera per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza."

La principale differenza tra le due ipotesi sanzionatorie è da rinvenirsi nell'elemento soggettivo.

Il delitto è punito a titolo di dolo specifico: il soggetto agente deve agire al fine di procurare a sé o al altri un illecito profitto avendo la conoscenza della illecita provenienza della res (o rappresentandosi la concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e accettandone il rischio, cfr. Cass. pen, S.U. 12433/10).

La contravvenzione, invece, può trovare applicazione anche in caso di colpa dell'imputato: è sufficiente che l'acquisto avvenga in presenza di condizioni che obiettivamente avrebbero dovuto indurlo al sospetto rispetto alla provenienza illecita della cosa.

Orbene, se sotto un profilo astratto le due fattispecie cono facilmente distinguibili, lo stesso non si può dire al momento della loro applicazione pratica. 

 Nel caso di specie, la Corte di Cassazione aveva di fronte la condotta di un imputato trovato nella piena disponibilità di plurimi beni riportanti marchi contraffatti. Aveva dimostrato piena consapevolezza della provenienza illecita degli stessi, anche tenuto conto – sottolinea la Corte - della circostanza che non era stato in grado di produrre alcuna documentazione relativa alla legittima provenienza dei beni.

I giudici di legittimità hanno così ritenuto che fosse configurabile un'ipotesi di ricettazione, posto che, ai fini della configurabilità di tale delitto, "la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede".

 

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