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Con la sentenza n. 29579 dello scorso 28 luglio, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna a carico di un ragazzo per il reato di pornografia minorile per aver divulgato alcune foto ritraenti le parti intime di una ragazzina.
Respingendo le tesi dell'imputato che escludeva l'integrazione del reato in quanto il materiale pedopornografico era stato prodotto dalla stessa minore, la Corte ha precisato che "ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 600 ter c.p., comma 3 - distribuzione, divulgazione, diffusione o pubblicizzazione, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, di materiale pedopornografico - non rileva la modalità della produzione del materiale pedopornografico, sia essa auto o etero produzione".
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un ragazzo accusato di pornografia minorile perché, dopo aver ottenuto da una minore degli auto-scatti che la ritraevano nuda, divulgava tali foto tra parenti ed amici.
In particolare, l'imputato induceva la minore a inviargli alcune foto, in due delle quali era ritratta nuda, in una con gli slip e in un'altra con un costume da bagno, rassicurandola sul fatto che sarebbero rimaste nella sua disponibilità; ricevuti gli scatti, divulgava tali foto attraverso WhatsApp tra i ragazzi del paese nonché alla madre ed alla zia della persona offesa.
In virtù di tanto, la Corte di appello, sezione minorenni, di Taranto, in riforma della sentenza assolutoria resa dal Tribunale per i minorenni di Taranto, dichiarava il ragazzo responsabile del reato di cui all'art. 600 ter c.p., e, riconosciuta la diminuente della minore età ed applicate le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, con pena sospesa.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'imputato chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata, denunciando violazione dell'art. 600 ter c.p., comma 3, lamentando che la Corte territoriale aveva ritenuto configurabile il reato contestato pur essendo comprovato che il materiale pedopornografico era stato autoprodotto dalla minore e non da un terzo soggetto.
La Cassazione non condivide le difese mosse dal ricorrente.
Gli Ermellini evidenziano che il reato di cessione, con qualsiasi mezzo, anche telematico, di materiale pedo-pornografico è configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore.
Sul punto, la Suprema Corte ricorda che, ai sensi del terzo comma dell'art. 600 ter c.p., si punisce chiunque, al di fuori delle ipotesi contemplate nel primo e nel secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto.
Tale comma, nel riferirsi al materiale pornografico di cui al comma 1, non richiama l'intera condotta delittuosa ivi menzionata, ma si riferisce all'oggetto materiale del reato, evocando l'elemento sul quale incide la condotta criminosa e che forma la materia su cui cade l'attività fisica del reo: il materiale pedopornografico prodotto e non il reato di produzione di materiale pedopornografico.
Ne deriva che, sebbene sia indiscussa la necessaria alterità tra l'agente autore di una delle condotte di cui all'art. 600 ter, comma 1, ed il minore, ai fini dell'incriminazione e, quindi, del fatto tipizzato dal comma 3 dell'art. 600 ter c.p., non rileva la modalità della produzione, auto o etero produzione.
Con specifico riferimento al caso di specie, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto integrato il reato in presenza di foto, scattate dalla minore, ma divulgate dall'imputato.
In ragione di tanto, la Cassazione rigetta il ricorso.
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