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Perdita del feto, SC: “Il risarcimento del danno può anche essere inferiore ai parametri minimi delle Tabelle di Milano”

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 Con l'ordinanza n. 22859 dello scorso 20 ottobre, la Cassazione, III sezione civile, pronunciandosi sulla liquidazione del danno non patrimoniale patito da una coppia di coniugi per la morte intrauterina del feto, ha confermato l'importo liquidato dalla Corte di Appello, sebbene tale importo si collocasse al di sotto del minimo previsto dalle Tabelle di Milano per la perdita di un figlio.

Valorizzando la circostanza per cui il caso analizzato si poneva al di fuori del parametro tabellare, non essendosi ancora instaurato un rapporto oggettivo, fisico e psichico, tra i genitori e il feto, si è precisato che il giudice, qualora voglia procedere alla liquidazione equitativa in applicazione delle "tabelle" predisposte dal Tribunale di Milano, può procedere alla personalizzazione in base alle circostanze del caso concreto, superando i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dalla richiesta di risarcimento danni avanzata da una coppia di futuri genitori contro una struttura ospedaliera per la morte intrauterina del feto.

In particolare, gli attori deducevano che si trattava di una gravidanza a rischio, in quanto ottenuta attraverso una tecnica di riproduzione assistita detta FIVET.

Dopo essersi recata in ospedale per delle perdite ematiche e forti dolori all'addome, contrazioni e gonfiore, sebbene il tracciato eseguito nel pomeriggio avesse evidenziato un grave stato di sofferenza del feto, la paziente veniva dimessa senza alcuna prescrizione; dopo qualche ora, si verificava la morte del feto.

Il Tribunale di Siena, con sentenza del 17 luglio 2013 rigettava la domanda attorea tesa al risarcimento del danno patrimoniale e non, derivato dalla morte intrauterina del feto, rilevando che non erano emersi elementi di responsabilità dell'azienda convenuta e che, pertanto, difettava il nesso eziologico tra evento dannoso e prestazione sanitaria.

 La Corte d'Appello di Firenze, in accoglimento dell'appello proposto dai genitori, condannava l'azienda al risarcimento dei danni nella misura di Euro 82.000 ciascuno.

Secondo la Corte territoriale, le Tabelle di Milano – individuando una forbice tabellare tra un minimo e un massimo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa la qualità della intensità della relazione affettiva che caratterizza il rapporto parentale – andavano applicate solo nel caso di relazione affettiva concreta, mentre la diversa ipotesi di figlio nato morto esprimeva il differente caso della relazione affettiva potenziale, rispetto alla quale non vi è una tabellazione espressa da parte del Tribunale di Milano.

Alla luce di tanto i giudici di appello, determinavano l'importo riconosciuto sulla base di un criterio equitativo, nella misura pari alla metà del minimo di cui alle predette tabelle del Tribunale di Milano, in considerazione della circostanza che si trattava pacificamente di morte di un feto e non anche di un bambino, sicché non si era instaurato un oggettivo (fisico e psichico) rapporto tra genitori e figlio: ne derivava che, nel caso di feto nato morto, era ipotizzabile solo il venir meno di una relazione affettiva potenziale, ma non anche una relazione affettiva concreta sulla quale parametrare il risarcimento, all'interno della forbice di riferimento.

Ricorrendo in Cassazione, i genitori si dolevano della violazione delle tabelle di Milano, da considerarsi norme di diritto, per aver la sentenza impugnata dimezzato i parametri minimi previsti dalle tabelle di Milano, senza ancorare la liquidazione del danno per il figlio nato morto all'interno della forbice stabilita dalle tabelle milanesi. 

 La Cassazione non condivide le censure formulate dai genitori.

La sentenza in commento ricorda che le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte quindi a circoscrivere la discrezionalità dell'organo giudicante, sicché costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto.

Pertanto il giudice, qualora voglia procedere alla liquidazione equitativa in applicazione delle "tabelle" predisposte dal Tribunale di Milano, può procedere alla personalizzazione in base alle circostanze del caso concreto, superando i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all'oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l'"id quod plerumque accidit", dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate.

Con specifico riferimento al caso di specie, il rilevante elemento di diversità che ha giustificato la discordanza dalla forbice delle Tabelle di Milano, è stato appunto il rilievo che il caso analizzato si poneva al di fuori del parametro tabellare, non essendosi instaurato un rapporto oggettivo, fisico e psichico, tra i genitori e il feto nato morto.

Alla luce di tanto, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso.

 

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