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La cena di Natale del vecchio avvocato (da "Avvocà, non solo grazie")

caravita

 Le ciaramelle suonate dagli zampognari arrivavano con il freddo. Una delle cose che apriva le porte del Natale era quel suono così acuto e coinvolgente che improvvisamente saliva dalla strada. Erano arrivati gli zampognari. Mi affacciavo al balcone, e tiravo in strada una moneta da cento lire. La raccoglieva quello con la ciaramella, mentre la zampogna continuava con la sua nenia. Tutti e due, poi, facevano un cenno con la mano, di saluto e ringraziamento.

Di lì in poi si apriva la strada del Natale. Pacchi misteriosi che venivano nascosti negli armadi, alberi che arrivavano improvvisamente in casa e la riempivano di fragranze resinose. Scatoloni pieni di fragili palle di vetro, veri capolavori delicatissimi, avvolti uno ad uno nella carta di giornale.
Tutti gli anni la nonna paterna dava il via ad una serie di telefonate: è l'ultimo anno che stiamo insieme, venite per la cena di Natale, non mi fate morire con questo rimpianto.
La cena di Natale a casa della famiglia di provenienza di mio padre era qualcosa di sconcertante. La preparazione cominciava giorni interi prima. Il ragù era oggetto di misteriosa liturgia, mentre le polpettine da mettere nel sartù, nel brodo di fan e in mezzo alla lasagna venivano prodotte in quantità industriale.
La lasagna era il piatto forte. Strati e strati di pasta condita con il sugo, le polpettine, il salame, le uova sode, la mozzarella e il parmigiano, e lasciate andare in forno fino a quando la parte superiore non si abbrustoliva.
Tutto veniva portato in tavola con una precisa e minuziosa procedura, che si ripeteva sempre uguale. Innanzi tutto cominciavamo la sera tardissimo, a ore impossibili, verso le 10,00, per poter dire che se mangiavamo carne era comunque già il 25, o ci mancava poco. E quindi ci aggiravamo tra i tavoli (tra sorelle, mariti, mogli, nipoti e nipotesse eravamo circa 18 persone) mangiando pane, rubando carciofini e verdure dalle insalate di rinforzo, inseguiti dalle zie che agitavano le cucchiare di legno.
Poi a un certo punto si partiva. Si iniziava con un leggero brodo di pollo, dentro il quale mettevamo i fan, delle strane palline di grano soffiato. Quel brodo leggero ci spalancava lo stomaco. Ed ecco arrivare lei, la lasagna, in ruoti incredibilmente compatti e pesanti. La zia Rosetta si aggirava tra i tavoli con un grande cucchiaio, con il quale spalava (non so trovare un'altra definizione più esatta di questa) delle porzioni gigantesche di lasagna nei piatti. Dopo la lasagna arrivava l'insalata di rinforzo, con broccoli, carciofini, uova sode, alici, olive. E poi arrivava il sartù, altra delizia, un gigantesco timballo di riso condito con ogni ben di Dio. Finita qui? ma neanche per sogno. Due tagliatelle condite con il sugo alla genovese per l'arrosto, assolutamente deliziose. E poi l'arrosto, condito con questo sugo di cipolle, bruno, denso e saporito. Poi le polpette che erano avanzate (e che le dobbiamo buttare?). E infine arrivavano i dolci: gli struffoli e il casatiello. Tutto questo servito a una tavolata dove gli adulti appartenevano all'intero arco costituzionale della vita politica italiana, dai monarchici ai comunisti. E dunque al tripudio del cibo corrispondeva una discussione politica sempre più accesa, violenta, forte.

 La più agguerrita di tutte era Ninì, professoressa di latino e greco, comunista, che si infiammava come un cerino e batteva le sue piccole mani sul tavolo, facendo saltare la lasagna di qui e di là, per sottolineare tutti i passaggi delle sue dichiarazioni. E si infiammava con la sorella Enrichetta, monarchica, mentre papà le guardava ridendo.
In tutto questo nonna continuava a ripetere: "Non litigate, fatemi fare l'ultimo Natale con voi, fatemi morire serena". Per venti anni, sistematicamente, implorava la platea di consentirle una dipartita in armonia con i suoi cari.
E dopo avere messo a mezzanotte il piccolo Gesù al suo posto nel presepio, cantando "Tu scendi dalle stelle", si cominciavano le partite di canasta e altri giochi di società.

 E improvvisamente tutto questo che ti sembra eterno non c'è più.

Sparisce a pezzi, prima una cosa, poi una persona, poi un'altra che se ne va. E tu non te lo ricordi, come era prima. O pensi di non ricordartelo. Poi improvvisamente giri un angolo mentre cammini nella tramontana del pomeriggio, e ti trovi di fronte uno zampognaro e il suo amico con la ciaramella, e ti torna tutto nitido in mente. Parte la nenia che conosciamo tutti, "tu scendi dalle stelle" suonata dalle zampogne, e ti metti una mano in tasca per cercare le cento lire. Ma non ci sono più, neanche quelle. E tu vorresti essere ancora su un balcone per correre ed affacciarti e guardare il mondo dall'alto della tua infanzia. E invece c'è solo il freddo pungente, e un altro anno che se ne va.

 

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